venerdì 13 luglio 2012

A che punto siamo


Berlusconi torna in campo, e questa non è una notizia, dato il suo carattere di leader reale e indiscusso del centrodestra, nonchè i rovesci che hanno accompagnato nei mesi di ventilato ritiro le sue creature economiche e politiche.
Mediaset crolla in borsa e negli affetti degli inserzionisti, il PDL si riduce a striminzita arena di contesa per correnti prive di nobiltà e prospettiva.
Sarà da vedere quanto il Cavaliere sia rimasto nel cuore della maggioranza degli italiani, ma di certo non farà peggio di successori designati e aspiranti.
La Lega esce dalla stagione del parricidio e delle purghe stanca e avvelenata, priva di un orizzonte diverso da quello attualmente incarnato dai Tosi e dagli Zaia, di banale, discreta amministrazione in salsa verde.
Un po’ poco per aspirare a riconquistare rapidamente un ruolo nazionale, soprattutto se sarà confermato un sistema elettorale che la ridurrà nuovamente ad ancella del berlusconismo.
L’UDC si guarda intorno smarrita, incredula di aver riacquisito centralità politica un minuto dopo essere stata demolita dall’elettorato, senza aver prodotto nulla di diverso da una profferta di alleanza al PD.
Miracoli dell’incontro fra scuola democristiana e doposcuola comunista.
Il PD fa il PD. Robusto, affidabile, incolore. 
Ha voti consolidati e moderata capacità di espansione, gruppi dirigenti intemedi rodati, capacità di reggere l’inconcludente rumore del proprio dibattito interno, abitudine al potere e alla sua assenza, e soprattutto uno stomaco di ferro. 
Ha un solo problema. 
Non avendo alcuna identità politica, assumerà giocoforza quella di chi gli sarà vicino. 
Il PD, dal punto di vista dei voti e dell’organizzazione, è la coalizione, ma dal punto di vista del profilo la coalizione è i suoi alleati. 
Quindi, quando c’è di mezzo il PD, tralasciare il tema delle alleanze è un non-sense, perchè solo queste danno significato a quella che altrimenti è una potente cacofonia.
L’IDV è un magma incomprensibile contenuto dalla capacità di Di Pietro di ricavare consistenti rendite elettorali posizionandosi e ricollocandosi nei segmenti vuoti dello spazio politico. 
L’impressione è che oggi il gioco sia molto più in crisi di quanto possa apparire, per la ripresa della sinistra, che non può tuttavia contare su simili risorse e visibilità, e il boom del M5S.
SEL rimane lo snodo essenziale della politica italiana, perlomeno sul versante del centrosinistra. 
Non è chiaro di quanti consensi possa disporre, è debolissima sul piano delle risorse materiali, dell’organizzazione e delle relazioni, così come ha alcune evidenti difficoltà di collocazione strategica. 
Ma ha un leader riconosciuto e un’identità immediata, e questo significa chiarezza. 
E’ il contrario del PD, a cui sta come un accento ad una lunga parola afona, carica di significati repressi.
Soprattutto, dalle sue scelte prossime potrà dipendere il futuro della sinistra e probabilmente il profilo del governo del paese, a patto che si liberi dal condizionamento paralizzante del terrore di sbagliare.
La FDS forse resiste, come ogni altro presidio di nostalgie e memorie.
Il M5S è, pare, al 20%, maturato nell’idea che la politica nulla possa, se non far danni. Fino a questo momento, sul piano locale, ha sempre dimostrato di sapere consolidare e incrementare i consensi attribuitigli dai sondaggi. Se così fosse, si dimostrerebbe che in Italia la propensione al voto è tanto forte da portare alle urne anche chi si asterrebbe in qualsiasi altro paese democratico. Questo è un bene, ma niente di più. Molti voti per nulla.
Questo è il quadro per cenni ed impressioni. 
Brutto e scomposto, fatto di debolezze, furbizie e disperazioni.
Chi vincerà? Qualcuno di questi, ma nessuno come loro. 
Vincerà chi per primo troverà un’anima, perchè potrà promettere di restituirla ad un paese che smarrito la sta cercando.

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