sabato 8 settembre 2012

Bersani, Renzi e l'alternativa possibile


A Matteo Renzi va riconosciuta una cosa.
Ha avuto il coraggio di lanciare una sfida aperta al complesso gioco di equilibri che regge e incastra le grandi e piccole nomenclature del PD, anche se va ricordato che ha immediatamente ricordato di volerci poi rientrare da protagonista, chiedendo un riequilibrio del partito sulla base dell’esito delle primarie.
Il gioco della rottamazione, ridotto al suo nocciolo essenziale, è in fin dei conti questo. Costruire una corrente che prima non c’era sulle ceneri di quelle già esistenti, andando oltre e riaggiornando la geografia interna del PD, ancora direttamente determinata da cordate ereditate dalla prima repubblica.
Comunque vadano le cose, le primarie per il Partito Democratico saranno quindi uno shock, perchè sull’onda di una guerra lampo dai contorni incerti salteranno o saranno messe in discussione molte rendite di posizione accuratamente costruite e custodite.
Questo lo hanno capito bene i renziani, all’attacco con ambizione, e il resto del mondo, stretto attorno a un Bersani trasformato suo malgrado nel rifugio peccatorum dei conservatori.
E’ un paradosso, ma una parte delle primarie, che decideranno il futuro del centro-sinistra, si giocherà quindi secondo il più classico degli schemi da congresso di partito, con l’obiettivo del rinnovamento dei gruppi dirigenti sopravanzante, e di molto, la contesa sulla proposta politica.
Il problema è che questo schema trova terreno fertile in un paese in cui da tempo il neo-conservatorismo impone la chiave di lettura per cui all’origine della crisi non starebbe lo spartito, ma gli interpreti.
E’ un gattopardismo 2.0, in cui è necessario che i volti cambino, perchè nulla cambi negli equilibri reali del potere italiano.
Renzi è un giovane blairiano fuori tempo massimo, Bersani un vecchio socialdemocratico di ritorno.
Renzi interpreta una proposta politica che in qualsiasi sinistra europea è abbandonata nell’armadio degli errori fatti, ma non appartiene a “quelli che in questi 20 anni hanno distrutto l’Italia”.
Bersani insegue zavorrato dai tanti Letta del PD la linea di Hollande, ma era lì, presente e protagonista negli anni della gogna, e con lui la lunga litania dei suoi sostenitori.
Chi pensa che prima o poi nella contesa i contenuti si imporranno decisamente sui narratori non ha letto nulla del contesto costruito dalla grande stampa, non si è interrogato sulle ragioni insieme profonde e superficiali dell’esplosione del M5S, non ha riflettuto abbastanza su quanto profonda sia la crisi di credibilità della classe politica.
Nichi Vendola, che si vuole emarginato in primarie trasformate in un congresso-OPA del PD, può intervenire a questo punto del discorso.
Non ha mediazioni al ribasso da cercare sul piano dei contenuti, non ha un partito da offrire come terreno di conquista, può esibire nodi di classe dirigente qualificata e non compromessa.
Può incarnare insieme la pienezza della proposta dei progressisti europei e un’ipotesi di cambiamento da sinistra del paese, ma anche l’idea vitale che queste possano innestarsi su una nuova generazione prestata alla politica.
E’ in sintonia con la modernità della crisi molto più di quanto lo sia Renzi, con il suo montismo superficiale, i suoi Marchionne e Ichino, la sua ambizione debole a continuare la farsa del potere impotente.
Ma può anche essere il grimaldello che scioglie i nodi del sistema linfatico bloccato della sinistra italiana, tanto odiato perchè specchio di un paese incapace di offrire le più elementari opportunità, inchodato nelle logiche dell’attesa e della cooptazione.
Non ha bisogno di rottamare nessuno, perchè il suo obiettivo non è fare spazio nel PD a gente stanca di prendere la rincorsa senza avere il coraggio del salto, ma può con educazione indicare a molti la strada di un meritato riposo.
E poi, a questo punto, rischia di essere l’unico in grado di salvare le primarie dal PD e il PD da se stesso.

Nessun commento:

Posta un commento