giovedì 4 aprile 2013

Politica e finanziamento pubblico. Alcune riflessioni


Matteo Renzi pubblica parte dell’elenco dei finanziatori della sua campagna per le primarie e rilancia sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Dico immediatamente che una seria normativa sulle donazioni private a movimenti politici o singoli candidati dovrebbe impedire di nascondersi dietro lo schermo della privacy.
Conoscere l’identità di ogni singolo sottoscrittore è infatti fondamentale per farsi un’idea del profilo reale di un personaggio pubblico e non possono esistere ignoti benefattori, dietro cui potrebbero nascondersi soggetti interessati e poco limpidi.
Questo è tuttavia un aspetto fondamentale ma non centrale.
Ciò di cui vorrei parlare è altro, ovvero l’idea che la politica possa finanziarsi esclusivamente attingendo ai versamenti volontari di simpatizzanti, iscritti ed elettori.
Due sono le obiezioni che sento fare in queste ore. 
La prima è che in questo modo si lederebbe la possibilità di partecipare attivamente alla vita pubblica per chi non disponga di adeguate risorse personali, o di chi non abbia relazioni tali da attivare adeguati canali di raccolta fondi. 
In Italia le due cose spesso coincidono.
La seconda è che attraverso il sistema dei finanziamenti soggetti economici di primo piano avrebbero la capacità di indirizzare a proprio favore le scelte della politica, favorendo la vittoria di chi più sia vicino alle proprie aspettative.
Quest’ultima argomentazione mi sembra molto debole. 
Chiunque conosca la politica americana sa infatti che il sistema corruttivo si fonda non tanto sui meccanismi di fund raising, quanto piuttosto sulla pratica delle “porte girevoli”, per cui è molto facile ottenere i favori di una classe politica a tempo e priva di garanzie per il proprio futuro garantendo un’adeguata sistemazione al termine del mandato. Non a caso le carriere politiche di congressisti e senatori dotati di grandi ricchezze proprie o legati ai movimenti sociali sono molto più lunghe di quelle di chi interpreti il mandato come un passaggio verso altre collocazioni, normalmente più legato alle lobbies.
Paradossalmente, e lo dico come provocazione, sono molto più destabilizzanti per l’etica politica proposte come il limite dei mandati, la riduzione delle indennità, l’abolizione di paracaduti odiosi come i vitalizi, di quanto lo sia l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Più problematico il primo tema.
Se è infatti fuori discussione che sia teoricamente più facile per la destra ottenere finanziamenti alle proprie formazioni politiche, lo è altrettanto che la storia dei partiti di massa ci dimostra che la sinistra, intesa come organizzazione dei deboli e degli sfruttati, ha avuto la capacità di strutturare macchine imponenti contando esclusivamente sulla volontà di partecipare anche economicamente dei propri aderenti.
E’ la rescissione del legame sentimentale fra la sinistra e il suo popolo che ha generato la dipendenza dal finanziamento pubblico, e non una ragione ontologica.
Possiamo anzi dire che il finanziamento pubblico è stato un anestetico debilitante che ha permesso per molti anni di ignorare drammaticamente proprio la grande questione posta da quella rescissione.
E’ tuttavia necessario considerare che qualsiasi riforma non interviene su un campo neutro, ma produce effetti sulla situazione data, e questa ci parla di un’Italia in cui il deterioramento del rapporto fra partiti e cittadinanza è tale da rendere impensabile che l’abolizione del finanziamento pubblico aprirebbe magicamente le porte ad una massiccia e diffusa contribuzione privata alla politica, come quella che contribuì a portare Obama alla presidenza degli Stati Uniti.
L’effetto sarebbe quindi quello di determinare nell’immediato un vantaggio competitivo enorme per quelle forze politiche che possano disporre immediatamente di relazioni forti con le maggiori, e peggiori dal punto di vista dell’interesse pubblico, lobbies economiche del paese.
Si dirà a questo punto che il M5S è la dimostrazione di come sia possibile raggiungere il 25% senza alcun finanziamento pubblico.
Questa affermazione, apparentemente inattaccabile, non tiene tuttavia conto di alcuni fattori.
Il primo è che il movimento di Grillo ha potuto fare della lotta ai costi della politica, fra cui il finanziamento pubblico, una straordinaria arma di consenso, che tuttavia non è evidentemente ripetibile, nè generalizzabile.
Il secondo è che il M5S dispone in tutta evidenza di risorse economiche opache, non contabilizzate, che ruotano attorno ad un media importante di proprietà privata, qual’è il blog di Grillo, in questo non dissimile dalle tv di Berlusconi.
Il terzo è che un partito che rappresenta il 25% degli italiani ha raccolto in campagna elettorale 500.000 euro, ovvero una cifra ridicola, se si pensi che equivale ad un versamento di 50 euro da parte di 10.000 persone, un piccolissimo partito, a fronte di 9 milioni di voti, e questo dimostra quanto sia difficile accedere a reali canali di finanziamento privato anche per chi viva un momento di straordinario consenso.
Se quindi riteniamo che la quantità di risorse immesse in una campagna elettorale non sia ininfluente rispetto al suo esito, e difficilmente potremmo non farlo nel paese che ha conosciuto il conflitto di interesse di Silvio Berlusconi, dovremmo essere pronti a discutere di come assicurare condizioni non solo minime di par condicio anche sotto questo profilo, pena l’ulteriore squalifica dello stato della nostra democrazia.
In caso contrario, dovremmo tenerci pronti al fatto che dopo aver ridotto alla fame la bestia partitica, bestie ancor più feroci tornino a contendersi lo spazio pubblico.

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