sabato 19 novembre 2011

A margine del governo Monti


Di cosa sia il governo Monti si è scritto molto in settimana, interpretando ciascuno i suoi desideri, più che la realtà di un parlamento diviso fra riottosi ed entusiasti, oltre la collocazione ufficiale dei partiti.
Si tratterà di capire nei prossimi mesi quale dei due gruppi prevarrà, anche per comprendere in che direzione verrà instradato il binario della Terza Repubblica.
In che direzione vorrebbero vederlo gli elettori è già chiaro, quello di un rinnovato bipolarismo, che non escluda le forze politiche organizzate, ma che abbia al centro il rapporto fra territorio e rappresentanza.
Questo ci dice il milione abbondante di firme raccolte sul referendum elettorale, che rappresenterà il vero convitato di pietra al tavolo del governo.
A proposito di rappresentanza, mi ha molto colpito in negativo la scelta di Bersani di caratterizzare il ruolo del suo partito sul fronte della riduzione del numero dei parlamentari.
Non comprendo infatti la necessità di concentrarsi su un tema di demagogia spicciola, che qualora dovesse peraltro essere presa sul serio si tradurrebbe immediatamente in una sottrazione di democrazia, quando dal PD ci si aspetta in questo quadro tutt’altro, soprattutto di essere garante della sostenibilità sociale dell’esperimento Monti.
Questo sarebbe invece il momento di riconoscere che, se possiamo tirare comunque un sospiro di sollievo per la cancellazione del governo del baratro, questo è dovuto anche alla tenuta delle clausole di salvaguardia iscritte nella Costituzione, fra cui la designazione parlamentare dell’esecutivo, il bicameralismo perfetto, l’elevato numero dei parlamentari e il ruolo di garanzia della presidenza della Repubblica. 
Il complesso di questi elementi ha resistito persino alle nefandezze del porcellum e della compravendita d’aula, portando infine alla sostituzione di Berlusconi.
Tralasciando l’elezione diretta del premier, in che situazione saremmo stati con una sola camera di 315 parlamentari, di cui 189 di maggioranza e 126 di opposizione, tutti nominati dalle segreterie di partito?
Ma ci vorrebbe un’altra legge elettorale si dirà, e una diversa e migliore classe politica. 
Certo, ma potremmo sceglierne anche di peggiori, ed è per questo che i costituenti hanno voluto camere ampie e dai poteri analoghi. Se si disperde il potere, aumenta comunque il controllo.
Anche a questo si dovrebbe pensare, quando si vuole strizzare l’occhio alle forme peggiori di antipolitica, e soprattutto quando si guarda al proprio interesse immediato e alla tentazione di risolvere difficoltà politiche con il taglio ulteriore dell’accesso alla rappresentanza e quindi al ruolo parlamentare.
Da questo punto di vista si potrebbe peraltro chiedere a Veltroni quanto abbia giovato a lui e al paese la riuscita estromissione da questo parlamento di tante culture della sinistra.
A Bersani consiglierei quindi di lasciar perdere improbabili ritocchi alla Costituzione, e di concentrarsi piuttosto, se di parlamentari vuole occuparsi, dei loro grandi e piccoli privilegi.
Suggerirei di eliminare lo scandalo dei portaborse, retribuiti in nero da onorevoli che si trasformano in caporali. Di eliminare la diaria, e di sostituirla con un ostello Montecitorio per i fuori sede e buoni pasto da 9 euro, come per i pubblici dipendenti.
Di cancellare vitalizi e assicurazioni sanitarie di cui non si comprende il motivo, vista l’eccellenza della previdenza e sanità pubblica.
E avanti così, su una strada che sono certo altri conoscono meglio di me.
Ma si lasci stare la Costituzione, scritta da donne e uomini per cui era ancora possibile guardare alla rappresentanza parlamentare come pietra angolare della democrazia, e non come merce di scambio del potere. Io ripartirei da li.

PS: ho letto che fra 5 anni nella Provincia di Ravenna il numero dei consiglieri scenderà a 12. Al di là del dibattito sulle province, il mio condominio ha una rappresentanza più numerosa, e nessuno si sogna di toccarla. Uno per scala è considerato un limite invalicabile…

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