venerdì 20 aprile 2012

Ancora su Grillo


Nell’eterna giostra della spasmodica ansia di novità che agita la politica italiana il nuovo topos è Grillo.
Corteggiato, invidiato, amato, odiato, ma finalmente sulla bocca di tutti, inseguito da inchieste giornalistiche, spalmato in ogni angolo della rete.
Lo merita?
Probabilmente no, se il metro del giudizio è la razionalità della proposta politica, la sua capacità di tradursi in ipotesi di governo poggiate in almeno un punto sulla realtà.
Certamente si, se accettiamo la regola democratica per cui il valore di un’opinione consegue direttamente dalla sua capacità di catturare consenso.
Consenso, certamente, Grillo ne ha, al punto da meritare un confronto diretto sulle proposte che avanza, e non l’insulto che replica all’insulto o l’esorcismo dell’antipolitica, poco credibile peraltro in un paese che ha chiamato statista fino a ieri Umberto Bossi.
Cominciando dalla sgombrare il campo da ogni equivoco.
Il M5S è un partito, ha un leader indiscusso e indiscutibile, e una narrazione politica capace di riunire in un disegno coerente suggestioni apparentemente eterogenee, sintetizzabili nell’idea che l’Italia sia un paese finito, perchè corrotto nel midollo da un ceto politico indecente.
In questo è molto simile alla Lega delle origini, con la differenza marginale di collocare il luogo immaginario della possibile salvezza non in un territorio storico, il Nord, ma in uno immaginario, la Rete, il circolo dei puri.
Come la Lega delle origini unisce individualismo esasperato, che si riverbera anche nell’ostilità che diventa divieto per qualsiasi forma di organizzazione intermedia, e suggestione comunitaria.
Come la Lega delle origini, e in questo è simile ad ogni movimento autoritario, rifiuta la complessità, interpretata come ipostasi della casta e della sua volontà di imporre la propria mediazione fra popolo e esercizio della sovranità.
Come la Lega delle origini nasce in un contesto di crisi latente della politica, ma si afferma quando questa si traduce in crisi istituzionale alimentata da un quadro economico negativo.
E si alimenta nel conformismo del sistema politico ufficiale, incapace di trattenere a fare suo qualsiasi elemento di novità, di uscire dalla ripetizione di formule ossificate, di comprendere che quando la parola responsabilità si traduce in immutabilità finisce per mutarsi nel suo contrario.
Se infatti a Grillo si possono lasciare insulti e volgarità, non è altrettanto chiaro perchè si debba concedergli di essere l’unico a porre il tema del radicale cambiamento della classe politica, a denunciare il sostanziale fallimento di una classe politica che è, a torto o a ragione, identificata con lo stato di inedia del paese, e che quindi deve essere mandata a casa, perchè questa è la precondizione del recupero di credibilità della politica.
Lo dico avendo ben chiaro quel che Grillo finge placidamente di ignorare, ovvero che l’Italia ha un sistema di potere e relazioni tale che nemmeno la più totale palingenesi della classe politica di ogni livello potrà scalfire.
Allo stesso modo è incomprensibile perchè debba essere abbandonata persino la riflessione su qualsiasi tema possa apparire eterodosso, se non si vuole assumerne la rappresentanza, quando dovrebbe essere evidente che non può esistere ortodossia nello sconvolgimento globale in atto.
Così se Grillo propone come una qualsiasi gag da palcoscenico l’uscita dall’euro e il default del paese, è incredibile che nessuna forza politica si ponga seriamente il problema aperto della palese insostenibilità dell’attuale struttura monetaria e finanziaria dell’Unione Europea e ne faccia materia di discussione, mentre il Parlamento si beve fiscal compact e pareggio di bilancio costituzionale come se fossero acquazzoni primaverili.
Per finire, Grillo non è un fascista. 
E’ un qualunquista, uno spacciatore di fole, una parte del problema ammantata di soluzioni. 
E’ un congelatore di energie, un oggettivo ostacolo a qualsiasi progetto di cambiamento democratico. 
Ma un fascista no, e come tutti gli errori è inutile ripeterlo.

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