martedì 10 aprile 2012

A Ravenna un ragazzo è morto di proiettile


Io odio non aver nulla da dire, quanto dire non aver nulla da poter fare.
Sarà per questo che mi sento a disagio da 48 ore, da quando nella mia città è morto un ragazzo di 27 anni, per un colpo di arma da fuoco sparato da un carabiniere in circostanze che, a quanto si legge, potevano persino giustificarlo.
Giustificare lo sparo, intendo, non il morto, perchè, io credo, non c’è nulla di giusto, nè di comprensibile nel morire ammazzati a 27 anni.
Il giorno dopo alcune decine di tunisini, compatrioti della vittima, hanno manifestato nella piazza centrale di Ravenna. Ammazzato da un carabiniere, scrivevano sui loro cartelli.
Molti si sono indignati. 
La destra pubblicamente, tanti altri, ne sono certo, in silenzio o sulla rete. 
Si sono indignati perche il morto era un pregiudicato, perchè era in fuga da una volante, perchè non si manifesta a favore di un delinquente.
E subito in qualcuno è scattato il riflesso condizionato. 
Io sto con i carabinieri, come se il problema fosse quello dello schieramento, quando invece sarebbe semplicemente necessario il rispetto. 
Quello di chi ha tutto il diritto di esprimere l’emozione e il dolore per la morte di un amico, e forse di uno sconosciuto, morto in circostanze tali da rendere comprensibili anche toni che non lo sarebbero in condizioni normali.
Quello delle forze dell’ordine, che non meritano di essere trascinate nel gioco della solidarietà pelosa, quando evidentemente ritengono solo di aver fatto il proprio dovere, di può far parte anche la tragedia di un errore di valutazione.
Quello della magistratura, che sola potrà e dovrà dirci con certezza cosa sia successo in questa notte di Pasqua.
La destra ravennate farebbe invece bene a tacere, perchè ha già detto sciocchezze a sufficienza, come spesso capita a chi vuole forzare la realtà nei propri schemi ristretti di propaganda.
Ha parlato di sparatoria dove c’era, ci auguriamo, un colpo male assestato partito da un’arma di ordinanza. 
Ha voluto collegare sulla sola base di un collegamento etnico che puzza di razzismo un ragazzo che da anni viveva in Italia al gruppo dei tunisini provvisti di permesso umanitario. 
Ha gridato al far west per una fuga da un ordinario controllo di polizia, seguito da diverse infrazioni al codice stradale. 
Ha fatto quello che sa fare meglio. Agitare a caso e con fragore la bandiera della paura.
Il centrosinistra di governo dovrebbe infine riflettere. Sui tempi innanzitutto, perchè abbandonare alla speculazione politica per due giorni interi una vicenda come questa, senza alcun intervento chiaro che provi ad orientare l’opinione pubblica è incomprensibile.
E poi su cosa si agiti nel profondo di una città che sarà pure ultramedagliata per il proprio civismo, ma che da molti, troppi segni di insofferenza, di stanchezza, di desiderio inconfesso di chiusura, davanti ai quali forse il mantra del tutto va bene comincia a essere insufficiente. Bisogna uscire, capire, governare. 
Un tempo si sarebbe detto fare politica.

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