domenica 10 giugno 2012

Se primarie devono essere, primarie siano


Siamo al 10 giugno 2012. 
Le elezioni, tanto temute se anticipate a ottobre, saranno, per buona pace di tutti, inevitabili nella primavera 2013.
Nove o dieci mesi quindi, senza che ad oggi sia dato sapere nulla sulle condizioni stesse in cui si svolgeranno.
Non abbiamo certezze sulla legge elettorale, nè sul quadro costituzionale, manca un serio e credibile quadro di alleanze, per non parlare della definizione di un progetto per il paese.
A ben guardare, ignoriamo persino l’identità dei partiti, o delle liste se si preferisce, che partecipare alle elezioni.
Gli unici 2 punti fermi sono l’impossibilità di presentarsi al giudizio degli elettori per la maggioranza che sostiene l’attuale governo e la volontà del M5S di correre in solitaria, per raccogliere fino in fondo i frutti dello scempio di un esecutivo irresponsabile.
Perchè, sia detto per inciso, il paradosso attuale è che un governo tecnico tiene prigioniero l’intero quadro politico, di maggioranza e opposizione, parlamentare e extra-parlamentare, per il solo fatto di coinvolgere in un’innaturale convergenza forze politiche che il sistema di voto vincola invece all’alternativa, senza che sia più possibile addivenire al vero architrave dell’esperienza Monti, una riforma elettorale in chiave sostanzialmente proporzionale.
In un simile quadro, che si inserisce in uno scenario economico e sociale da brivido, l’unica nota positiva è stata l’apertura di Pier Luigi Bersani a primarie aperte da tenersi in autunno.
Dal mio punto di vista, saranno primarie senza paracadute. Sento già parlare della necessità di preventivi programmi minimi condivisi, chiarezza sulle alleanze postume, tavoli di confronto. Non c’è tempo per fare questo, ma soprattutto manca la coerenza politica minima. Rendiamoci conto infatti che il Bersani fischiato all’assemblea della FIOM rappresenta sotto molti aspetti l’ala laburista del PD. Figuratevi voi se sarebbe possibile scrivere un programma, pur di minima, sull’articolo 18 ad un tavolo con il PD nella sua interezza. Lo stesso dicasi sui diritti civili, sulla riforma fiscale, sulla politica economica e persino su quella estera e di difesa.
Per questo meglio, molto meglio, mettere a confronto aperto progetti politici coerenti, nitidi e alternativi, permettendo al nostro popolo di valutare quale sia il più adatto a rispondere alla prepotente domanda di cambiamento, governo e credibilità che vive nel paese.
Sapendo che le primarie sono sempre un primo passo, non l’ultimo, non un gioco a chi vince piglia tutto, e che l’intelligenza politica consiste proprio per chi si afferma nel saperne leggere tutte le sfumature, nel saper interpretare e reinterpretare se stesso alla luce dei messaggi che ne provengono.
Certo ci sarà sempre a sinistra chi giocherà allo sfascio, chi scommetterà sulla vittoria di un Renzi qualunque per poter rilanciare autistiche proposte di autonomia.
Ma non è di questo che dobbiamo preoccuparci. Alla base di ogni ragionamento deve sempre esserci la domanda che ci ha accompagnati fino a qui. Esiste un popolo del centro-sinistra, capace di riconoscersi come tale, pur nelle 1000 differenze, sfaccettature, anche radicali divergenze? Se la risposta è positiva, allora le primarie sono l’unica ipotesi sensata, data l’evidente incapacità dei partiti di rappresentare una sintesi adeguata ed efficace. 
In caso contrario, se si ritiene che l’esperienza del governo Monti e la durezza della crisi economica abbiano scavato solchi tanto pesanti nella società da renderne impossibile una ricomposizione e rappresentazione politica nel bipolarismo, richiedendo quindi un vieppiù di mediazione dei partiti, lo si affermi compiutamente e si faccia una battaglia per il proporzionale, ovvero per il proseguimento del governo Monti.
Io personalmente vedo linee di frattura crescenti, reciproche insofferenze e diffidenze in aumento, che corrono lungo la linea d’azione dell’esecutivo tecnico, ma non tali da impedire di giocare ancora l’ultima mano, a patto che la si consegni senza riserve, tatticismi e resistenze a chi detiene la sovranità.

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