sabato 11 agosto 2012

La sinistra alla prova di maturità


La scelta di SEL di contrarre un’alleanza con il PD in vista delle prossime elezioni politiche ha comprensibilmente aperto un intenso dibattito a sinistra.
Pesa infatti la rottura di un possibile fronte con l’IDV, che non ha più in SEL una sponda disponibile a coprirne gli eccessi verbali finalizzati a massimizzare visibilità e consensi, in cambio di un potenziale e del tutto teorico rafforzamento dell’ala sinistra della futura coalizione progressista.
Pesa allo stesso tempo, e apparentemente in misura assai maggiore, la rinuncia ad ogni veto, peraltro mai posto in questi termini dagli organismi dirigenti di SEL, nei confronti di possibili offerte di collaborazione all’UDC nel corso della prossima legislatura.
In questa combinazione molti hanno voluto vedere la disponibilità del partito di Nichi Vendola ad un percorso di continuità con Monti, dato che, in una visione manichea del tema delle alleanze, uscirebbe il partito della più intransigente opposizione, l’IDV, per entrare il più convinto sostenitore del governo in carica, l’UDC.
Fingendo di dimenticare, o considerandolo un elemento dissonante e quindi pretestuoso, la mossa di Pierluigi Bersani, che presenta una Carta di Intenti debole di fattori cogenti, ma in linea con il linguaggio e la direzione del socialismo europeo, e individua in SEL il primo interlocutore a cui presentarla per aprire un confronto, manifestando quindi simbolicamente l’intenzione di orientare a sinistra il perimetro dell’alleanza.
Contemporaneamente, si individua nelle primarie il metodo di definizione dell’identità e del programma del futuro centrosinistra, e si chiarisce progressivamente che l’apertura all’UDC riguarda la fase post-elettorale, nonostante la nebbia prolungata sulla trattativa sulla legge elettorale renda lecita qualsiasi ipotesi di presentazione alle urne.
Per me, che a SEL sono iscritto dal primo momento, e con qualche responsabilità di direzione politica, in tutto questo non c’è nulla di stupefacente, ma l’esito non scontato, data la debolezza della nostra forza istituzionale e organizzativa, di un’iniziativa politica fondata sulla costruzione di un nuovo centrosinistra di governo, libero dai dogmi neo-liberali, e aperto alla sfida del cambiamento.
In altre parole, credo che SEL nell’ultima settimana abbia segnato un successo, e che da questo si dovrebbe ricavare nuova energia per affrontare le primarie e quindi per rafforzare l’apporto della sinistra negli equilibri politici che si determineranno.
Vedo invece che è aperta una discussione che sfocia nel conflitto, e che questa va oltre la verve polemica di chi prova a recuperare consenso a posizioni chiuse nel proprio recinto minoritario.
In particolare, si sostiene che il governo Monti, e la fase che l’ha accompagnato, avrebbe già cambiato in modo irrevocabile il sistema politico italiano, costringendo tutti a fare i conti nel futuro prossimo prevalentemente, se non esclusivamente, con il giudizio che si da sul suo operato, e quindi ipotizzando che le uniche alleanze dotate di senso sarebbero quelle fra chi lo ha sostenuto da un lato e chi si è opposto dall’altro, al netto di alcune evidenti idiosincrasie ideologiche.
Si attribuisce al governo Monti un valore costituente, di nuova faglia delle politica italiana, in sostituzione del berlusconismo, più prossima alla classica divisione fra destra e sinistra, nella variante liberisti-rigoristi contro antiliberisti-presunti tali.
In questo modo non ci si rende conto, o peggio si sceglie il tanto peggio tanto meglio, di aderire esattamente allo schema di chi ha sommesso fin dall’inizio sull’esecutivo dei tecnici come strumento di uscita da destra dal berlusconismo, come chiave di una nuova Costituzione materiale e di un nuovo arco costituzionale, rappresentato appunto dai partiti dell’attuale maggioranza o, meglio, dalle loro evoluzioni.
Dal mio punto di vista, questo era il rischio maggiore posto dal governo Monti, la sua capacità di imporsi non come parentesi emergenziale, ma come virus capace di rigenerare il sistema a propria immagine e somiglianza.
Rischio apparentemente sconfitto, fortunatamente, se non si commetterà l’errore di contribuire in extremis a rivitalizzarlo.
La stessa idea d’altronde che quella fra liberisti e antiliberisti sia l’unico elemento di demarcazione sensibile, o comunque il prevalente, è sbagliata e illusoria.
Ne esistono infatti almeno altre due, di non minore importanza nell’Italia odierna, quella fra europeisti e anti-europeisti e quella fra difensori della Costituzione formale, imperniata sul tema della rappresentanza, e sostenitori dell’antipolitica, ovvero della demolizione dei perimetri costituzionali.
E io credo che la sinistra, per la sua storia e per il suo presente, non possa che stare dalla parte dell’Europa e delle istituzioni costituzionali, anche laddove, come ora, ne ravvisi limiti  e debolezze ai limiti del decadimento.
E non mi nascondo che elementi come il Fiscal Compact rappresentino nel breve, medio e lungo periodo il peggior attacco alla sovranità democratica e il miglior strumento di demolizione dell’unificazione continentale, ma allo stesso tempo non posso ignorare che la loro natura di trattato ne impedisca la denuncia unilaterale, pena un forte vulnus all’Unione Europea, e che quindi prima di arrivare per inerzia a quel punto si debba fare ogni sforzo per modificarlo nella sede propria, che è quella comunitaria.
Credo che questi ragionamenti non dovrebbero accompagnare solo i venduti del PD e i neo-traditori di SEL, ma interessare tutta la sinistra, prima che questa sia attraversata dal cupio dissolvi dell’auto-riduzione al ruolo di opposizione, forte o testimoniale che sia, ad un altro quinquennio di montismo, per il gusto tra gli altri di veder confermata la propria previsione di un PD definitivamente svuotato di ogni sussulto progressista.
I prossimi anni non saranno comuni. Potranno essere ricordati come quelli in cui l’Europa ha scelto la strada dell’unificazione politica o del ritorno alle monete e quindi agli Stati nazionali. 
Come quelli in cui alla crisi si risponderà con un nuovo ruolo del pubblico e del welfare o con il prevalere di logiche neo-vittoriane. 
Come quelli in cui si esce dalla crisi in piedi o con i piedi in avanti.
La sinistra oggi non è debole. Non lo è in Italia, nè in Europa, nè nel mondo. 
Ma in Italia rischia di giocarsi la pelle fra paure e miserie, per timore della democrazia e delle sue regole, per irrisolti problemi identitari, perchè quando pensa a Obama non riesce a ricordare lo slogan che ne sancì la vittoria, ma i limiti del suo governo.
Certa sinistra italiana pensa di avere le forze per sconfiggere da sola il capitalismo finanziario internazionale, ma ha paura di contaminarsi coi sepolcri imbiancati dell’UDC, o pensa ancora che per vincere una guerra si debba prima bombardare il quartier generale.
Noi, più modestamente, cerchiamo la leva che ci permetta di sollevare il mondo, se ne avremo la forza. Ma sempre ricordando che la politica deve guardare al domani, ma ha bisogno, per essere tale, di un qui e un’ora.

1 commento:

  1. Sono naturalmente d'accordo con quanto esprimi, per quanto riguarda la necessità di fare politica, di costruire un'alleanza, di aprire al dibattito delle primarie una prateria di iniziative e di confronti sulle politiche future e sulle risposte immediate di governo della società.
    Con le forze che abbiamo dobbiamo scegliere alcuni punti qualificanti, ed uscire allo scoperto, il lavoro, i diritti, l'ambiente e i beni comuni, e credo che proprio la nostra analisi sull'opportunità di cambiare registro nella ricostruzione dal terremoto, segnando da subito una differenza nel modo di costruire, nelle spinte all'assiociazione delle aziende, nella sicurezza come barra trainante della rinascita della nostra terra, possa rappresentare un obiettivo utile per il qui, l'ora, e il dovunque.
    Ermes

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