domenica 21 agosto 2011

Palla avvelenata



È passata una settimana da quando il Ravenna Calcio è stato iscritto al campionato di serie D, dopo una successione di momenti fra la farsa e il grottesco, con un presidente tuttora impegnato nell'acquisto di una squadra di Prima Divisione. Con tanto di epitaffio iniziale: dopo tre giornate, con il Ravenna in testa al campionato, lascio la squadra al sindaco. Impagabile, almeno quanto lo spettacolo offerto allo stadio da Aletti e Matteucci, con la gentile e preziosa partecipazione dei tifosi ravennati. Immagino che ora il sentimento prevalente sia quello dello scampato pericolo, o almeno del meno peggio. Quando si é in affanno, sempre meglio buttare la palla in avanti. A me rimane invece la strana sensazione dell'occasione persa, forse perché sono abituato a pensare che dal male possa sempre derivare il bene o, in termini meno moralistici, che ogni crisi porti in se il genio possibile di un'opportunità.
Cosa ci rimane? Una squadra rimaneggiata, una dirigenza a tempo, un tifo incerto. E la serie D. Quale avrebbe potuta essere l'alternativa? L'Eccellenza, la Promozione addirittura, ma con una società in cui sperimentare forme di partecipazione popolare, condizione per provare a restituire alla città uno sport perduto fra scandali, interessi, disaffezione. Non riesco francamente a comprendere quale sia l'orgoglio di una serie minore, a cui accedere dopo aver rischiato la radiazione per il più infamante dei reati sportivi. Avrei invece capito il valore di un nuovo progetto, di una rinascita dal basso, di una chiamata a raccolta di tutti quanti nel nostro territorio amano il calcio e non vogliono più vederlo infangato. Perchè, in definitiva, il calcio è da sempre uno dei tanti specchi in cui ama rimirarsi il nostro paese e non si puó ridurre a cosa per pochi interessati e per molte interessate scorribande. Sará un caso, ma tutto in Italia si è svuotato insieme, di senso e di popolo. Stadi, sezioni di partito, parrocchie, parchi e piazze. Così oggi l'impressione è che ci restino solo i costi, del pallone, della politica, della chiesa e della pubblica illuminazione, con un desiderio non troppo latente di sopprimerli come cosa inutile e dannosa, quando invece inutile e dannoso è proprio il senso di separatezza da ciò che è nostro, per abbandonarlo nelle mani di chi lo sente proprio. E allora forse si puó perdere un po' di tempo anche parlando di pallone.

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