domenica 16 ottobre 2011

Due scogli neri in un fiume in piena

Venerdì l’immagine oscena degli applausi e abbracci in Parlamento a celebrare la sopravvivenza di un governo in stato vegetativo. 
La vita per la vita, nell’ossessionata riproduzione dell’adagio andreottiano che celebra la sovrana indifferenza dell’istituzione per tutto ciò che accade all’esterno delle proprie liturgie, dimentica dell’essere la sovranità altrove, e quindi implicitamente sovversiva, nella pervicace volontà di separare forma e sostanza della democrazia. 
Le risate di chi celebra nel trionfo di una fiducia sul nulla la propria conferma nel luogo di un potere impotente altro non sono che lo sberleffo in faccia al popolo sovrano.
Ieri le fiamme nel cielo di Roma, il suono sordo della guerriglia ritmato da bombette e lacrimogeni, gli assalti e le cariche, sanpietrini e manganelli, l’intera coreografia di un altro rito, quello dell’Attacco al Potere, che è sempre in questo paese miserabile scontro con le forze di polizia, due passanti, quattro vetrine, dodici auto. 
E, senza averli letti, editoriali sui cattivi maestri della sinistra, sull’incapacità del ministro dell’interno, su presunti infiltrati, sulle corresponsabilità di chi ha taciuto, le richieste di condanna incondizionata, le professioni di non violenza, chi sono i black block, la distanza dal movimento. Il dibattito sul servizio d’ordine.
Ieri milioni di persone nelle piazze d’Occidente, che hanno dato corpo a un sentimento collettivo che potrà cambiare la storia, se saprà farsi politica, se saprà scegliersi la parte, oltre i pelosi consigli e suggestioni di chi, accucciato ai piedi del potere, accarezza la tentazione dell’estraneità, plaude alla bellezza dell’orizzontalità che nemmeno sfiora le travi ben verticali del comando. 
C’è una richiesta che agita il mondo e si chiama democrazia, quella di chi non l’ha mai avuta e quella di chi la conserva scritta nelle proprie Costituzioni, ma se l’è vista sottrarre mentre veniva irretito da una politica ridotta a palcoscenico. 
La democrazia, che è resa incondizionata del potere alla libertà e sovranità dei popoli, ma insieme possibilità reale di cambiamento, primato vero della politica sull’economia, e non ancella impotente. 
Per qualcuno è un percorso sanguinoso di conquista, come ci insegnano le piazze del Mediterraneo, per altri un cammino di riappropriazione, che passa anche per la bandiera a stelle e strisce piantata in faccia a Wall Street. 
Per noi italiani è la capacità di riconoscerci, oltre il gas esilarante, ottundente, allucinogeno che realmente da troppi anni riempie le strade di questo paese. 
Fare aria, guardarci in faccia, leggere con calma tutta la Costituzione, riconoscere le macerie alle nostre spalle, perdere pochi minuti a chiederci come sia possibile addormentarsi con i volti di Berlinguer e Pertini e svegliarsi con quelli di Bossi e Berlusconi, e poi alzarsi. 
Indignati, ma neppure troppo. Soprattutto determinati a cambiare l’Italia e l’Europa, a riprenderci tutto quello che ci è stato rubato. 
Politica, Parlamento, Diritti, Lavoro, ridotti a surrogato ma non ancora svaniti.
E poi Sinistra, che sarà pure termine desueto, sconosciuto ai più, ma che è invece la scelta antica e la bandiera di tutto ciò per cui ci battiamo e per cui tanti si batterono per consegnarci un mondo migliore di quello di oggi. 
Ci sono tante cose di cui il movimento italiano vorrà discutere da oggi. 
A queste ne va aggiunta una, fondamentale, e sono le primarie, come scelta di campo, come strada collettiva verso il cambiamento, come via di riappropriazione immediata della politica. 
Perché, per dirla chiara, l'affermazione di Nichi Vendola nel campo largo dell'opposizione é l'unico evento da cui può passare qui ed ora, al di la di recinti e opportunismi, una scossa per l'Italia.
Per sottrarla alle mortifere fotografie dei giorni scorsi. 
O si vuole, ancora una volta, lasciarla ad altri?

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