sabato 29 ottobre 2011

Frane

Non si dovrebbe mai guardare il mondo lasciandosi trasportare dalla suggestione dell’unità del tutto, che lega in un unico universo mistico fatti, sensazioni, uomo e natura.
Eppure è difficile resistere alla tentazione, quando tutto intorno a te smotta e frana, e l’immagine devastante del fango che trascina e sommerge angoli di pura bellezza diventa il segno profondo del paese.
Non i cambiamenti, ma l’assenza di cura, di memoria e di ansia serena di futuro hanno prodotto uno squarcio nelle 5 Terre liguri e nelle mille italiane che ogni giorno corrono lo stesso rischio.
Che non è diverso da quello delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, che da ieri si vogliono abbandonati all’onda di piena della crisi globale, liberi di essere licenziati e trascinati a valle.
Né è diverso da quello dei milioni di precari, che come la terra privata di radici a valle sono già arrivati, intorbidendo le acque e facendole pesanti.
Ti accorgi del fiume quando rompe l’argine, se hai smesso di pensarti in sintonia con lui.
Se hai permesso che la scuola, i servizi sociali, la sanità, gli alberi pesanti che affondano nella terra e la trattengono venissero progressivamente ridotti a cespugli, e passivamente hai abbandonato la Politica, che prima di ogni altra cosa è cura della relazione, è radice reticolare che compatta e vive nella comunità e le permette di essere porosa, di assorbire la pioggia, anche quando batte con violenza.
Così guardi la democrazia, e se ti sembra solida nei suoi riti, aggrappata a 316, famigerati voti, non ti accorgi che è la zolla su cui poggia a scricchiolare, pronta a scivolare con fragore.
Avere cura, si diceva, per non maledire il cielo mentre si umilia la terra. E’ nostra la responsabilità di rafforzare gli argini, pulire i fiumi, ripristinare equilibri e restituire forza a chi ne è stato privato. Poi il cielo farà la sua parte.

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