martedì 1 maggio 2012

Il sonno della ragione


Un paese che si disabitui a qualsiasi forma razionale del discorso pubblico ha smarrito la democrazia prima ancora di perderla.
L’Italia ha quindi molte buone ragioni per interrogarsi sulla natura reale del proprio sistema politico, se è vero che la seconda Repubblica è vissuta sull’affermazione dell’affabulazione berlusconiana e degli pseudo-riti leghisti, e vede oggi nascere nelle sue ceneri un canovaccio comico che si spaccia ed è spacciato come monologo di governo.
Per 20 anni ogni elemento della vita collettiva è stato ridotto a favola, a materiale malleabile, centrifugato, privato di ogni aggancio con la realtà, e poi ricomposto in ogni improbabile combinazione, tanto da rendere possibile agli italiani impoverirsi giornalmente credendosi ricchi, e poi scambiare per tre anni la più grave crisi globale del dopoguerra per un temporale estivo.
Abbiamo trasformato la Padania in uno spazio geografico e la Cina in un concetto metafisico, visto gruppi dirigenti formati alle Frattocchie importare la Terza Via di Blair, mentre altri issavano il fantasma della Tatcher su uno pseudocapitalismo relazionale e clientelare.
Abbiamo trasformato la politica in un affare da salotto televisivo, ridotto il ragionamento a sorriso, confuso Zelig con Ballarò ben prima che arrivasse un comico invecchiato a prendere la scena con il mestiere e l’esperienza.
Se d’altronde il mercato è l’unica forma del vivere associato, va bene il politico-imprenditore, se produrre non conta nulla perchè ciò che importa è vendere, va bene il politico-imbonitore, se ciò che dici è indifferente perchè passa il gusto della battuta fulminante, va bene il politico-da palcoscenico.
Berlusconi è stato sotto questo profilo uno e trino, fino a quando il repertorio è finito e il prodotto si è rivelato fallato.
Ma il berlusconismo, sotto questo profilo, è ben lungi dall’essere finito, e come potrebbe essere altrimenti in un paese in cui prevale il cinismo, inteso come rifiuto di ogni verità se non condivisa, almeno accettata come tale fino a prova contraria.
Non lo è quella politica, che si forma nel rispetto delle forme e procedure della decisione, non lo è quella giudiziaria, che si forma nel processo, non lo è quella scientifica, che si forma nel consenso maggioritario della comunità preposta.
In questo brodo è possibile per chi ha ruoli pubblici dire ogni giorno anche la peggiore bestialità, e farlo in pubblico, e farlo davanti alle telecamere, per poi smentire un minuto dopo, incassando il doppio vantaggio in termini di esposizione mediatica, e senza mai pagare dazio, perchè ci sarà sempre il codazzo dei fan pronti a urlare alla strumentalizzazione e l’accoglienza tipica del così fan tutti.
In un paese normale un Grillo che si recasse a Palermo e sparasse una battuta sulla mafia studiata ad arte non per accreditarsi coi mafiosi, ma per ottenere due giorni di spazio sui media, avrebbe semplicemente finito la sua carriera politica.
Ma in un Italia abituata a vedere leghisti di periferia sgomitare in provvedimenti shock e dichiarazioni sopra ogni riga per strappare due righe di visibilità sul Corriere della Sera, e quindi una candidatura al Parlamento di Roma, o pidiellini ignoti uscire dall’anonimato con attacchi eversivi alla magistratura, e persino la sinistra indulgere talvolta al fuoco di paglia mediatico nella selezione del personale politico, in questa Italia Grillo non dimostra nient’altro che di avere ben imparato un mestiere che conosce da molti anni.
Quello che è importante è prima di tutto conquistare la scena. Poi, una volta sotto i riflettori, si deciderà il da farsi. Se poi non si avrà nulla da dire, si azzarderanno quattro smorfie e si dirà che non servono lunghe analisi, perchè non esistono problemi complessi. Al massimo, si sosterrà che quando è il problema è complesso decidere non spetta a chi è sul palco, perchè i problemi complessi sono un patrimonio di tutti, altrimenti non si chiamerebbe democrazia.
E avanti così, fino alla prossima battuta, che creerà il prossimo scandalo. 
Si preoccupino gli altri di annoiare il pubblico fra uno sketch e l’altro.

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