lunedì 8 ottobre 2012

Anni '90. Oppure Vendola


I ‘90 li ricordo per gli amici, la musica, i locali, Clinton, Blair, l’Ulivo e Berlusconi, e io che stavo dall’altra parte, i miei vent’anni, la fine della storia, il liceo e l’Università, amori primitivi, la patente, macchine improbabili, il muro crollato e la polvere sospesa. 
In altre parole sono stati i miei anni.
Anni belli, colmi di ansie, dubbi e possibilità. Anni in cui poteva esistere il futuro, anche se poi Kurt Cobain si suicidava, la Jugoslavia si suicidava, e in Kosovo si suicidava anche l’etica delle sinistre mondiali.
Noi che li abbiamo attraversati siamo gli ultimi scampati all’onda del precariato o i primi sommersi. Questione di tempi stretti, fortuna e scelte di vita. A chi è venuto dopo è mancato anche questo.
Siamo quelli che hanno iniziato una strada che doveva avere delle svolte, che si chiamavano casa, famiglia, carriera, benessere, e molti di noi sono ancora in attesa di vederle.
Abbiamo firmato una cambiale che si chiamava mancanza di alternativa, e siamo ancora in attesa di incassarla. 
Non ci hanno insegnato a lottare, e come avrebbero potuto? I nostri padri erano sconfitti, sconfitti e ancora sconfitti. Qualcuno taceva per la vergogna, qualcuno si era persino convinto di aver vinto.
E’ a noi che parla Matteo Renzi.
Ci dice che non abbiamo sbagliato, ma che semplicemente ci hanno fregato. Che non siamo stati deboli, ma vittime della fiducia negli adulti, che intanto si sono fatti anziani. Che nulla è perduto, perchè se ci libereremo di loro ci sarà posto per noi.
Parla alle nostre frustrazioni di eterne promesse, a chi pensa che da sempre sia il suo momento, a chi non riesce nemmeno a immaginare il noi, ma vorrebbe tanto risollevare il suo io dalle paludi delle promesse mancate.
E’ un Blair fuori tempo massimo, ma in fin dei conti parla ad una generazione fuori tempo da sempre, che sogna la promozione che spetta a chi ha studiato, fatto i compiti e aspettato in silenzio il proprio turno, che non è mai arrivato, perchè il paese si è fermato, e quando un paese prima si ferma e poi precipita all’indietro non c’è promessa che tenga.
Parlare di meritocrazia in un paese in cui una giovane madre meridionale abbia come unica certezza la disoccupazione significa agitare fuochi fatui nella tempesta.
Non è un problema di merito, ma di disuguaglianza, e questo Renzi e quelli come lui non lo capiranno mai, perchè è fuori dal loro schema, estraneo ad uno sguardo che prevede solo lo specchio.
Noi, noi che abbiamo trent’anni ma più spesso vediamo i quaranta di quello specchio dobbiamo liberarci, e parlare onestamente a noi stessi.
Ci ha fregato l’individualismo, ci ha fregato il cinismo, ci ha fregato quella maledetta idea che la storia fosse finita, e che quindi ognuno restasse solo con se stesso e potesse starci bene.
Ci hanno fregato i soldi dei nostri genitori e nonni, molto più che la loro presenza sulla scena, la comodità di lasciar fare e intanto aspettare che la festa continuasse.
Le feste, si sa, finiscono sempre all’improvviso, quando le luci si accendono e la scena si rivela spoglia e sporca.
Riprenderci il futuro non sarà questione di rottamare il deejay, ma di uscire dal locale e ricominciare a vivere, riconquistando palmo a palmo un mondo che intanto il capitale si è fottuto.
Ho detto vivere. Avrei dovuto dire lottare.
Senza credere a chi all’uscita cercherà di venderci, per sua ammissione, una macchina usata.
Possiamo arrenderci a chi ricicla un’idea o a chi non ne ha mai avuta una. Oppure Vendola.

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