sabato 21 gennaio 2012

Avanti con Monti. E la mascherata continua


Non nutro particolare simpatia per i tassisti, i notai mi sono sempre sembrati un improprio balzello, degli avvocati non ho mai compreso la necessità di un ordine, le sole farmacie che frequento sono comunali.
Non ho quindi alcuna ragione personale per non rallegrarmi dell’ultimo provvedimento del governo Monti, nè politica per oppormi, e francamente non condivido la tentazione di un pezzo della sinistra di cavalcare per micro calcoli elettorali che andranno frustrati la protesta delle categorie.
E tuttavia nessuno mi venga a dire che uno solo di questi provvedimenti avrà un minimo effetto sulla recessione da cui è afflitta l’economia italiana.
Dirò di più. 
Il solo fatto che il presidente del consiglio possa ventilare una crescita del 10% grazie al decreto dovrebbe essere sufficiente a farlo uscire dal novero dei tecnici per farlo entrare di diritto nel club non troppo esclusivo dei politici ciarlieri e ciarlatani.
Riassumendo. 
Viviamo in un paese che vive una fase prolungata di deindustrializzazione, in cui siamo lentamente usciti o in procinto di uscire o in fase di ridimensionamento dai rami della chimica, della farmaceutica, dell’industria automobilistica, del tessile, della cantieriestica, della siderurgia, e ciascuno potrebbe continuare la lista. 
Abbiamo un’agricoltura al collasso e un sistema bancario sotto stress. 
Taciamo per carità di patria sull’edilizia tutta insieme, buona e cattiva.
Ci grava un elevato debito pubblico, che nell’interpretazione attualmente corrente in Italia significa impossibilità di agire la leva della spesa pubblica.
Viviamo da anni il fenomeno della fuga dei cervelli e da un biennio abbiamo smesso di essere un centro di immigrazione.
Accettiamo senza colpo ferire che la Fabbrica Italiana Automobili Torino possa trattare il paese da cui trae il nome come una colonia, minandone il sistema di relazioni sindacali, e che padroni come il sig.Golden Lady possano delocalizzare siti produttivi in attivo.
E in un quadro del genere, che nessuno si prova nemmeno a negare, accettiamo che qualcuno possa venirci a raccontare che ci attende un grande balzo in avanti perchè ci saranno 5.000 nuove farmacie, gli avvocati dovranno farci un preventivo e chiunque potrà prima o poi attaccare il cartello Taxi sulla propria automobile.
Senza che ci sia alcuna opposizione, se non quella delle categorie interessate o dei loro protettori politici, come se in politica economica, e tanto più in fase di crisi, il giudizio su un provvedimento potesse prescindere dalla sua reale adeguatezza alla risoluzione dei problemi generali, e ci si dovesse invece limitare a valutarne l’adeguatezza in se.
E’ invece proprio questa idea che va contrastata, cioè l’assunto tutto liberale, e in quanto tale ideologico e sbagliato, che esista una ricetta universale ed eterna per lo sviluppo economico, ovvero l’intervento su presunti nodi e strozzature per permettere il libero e spontaneo fluire delle forze del mercato.
Quando invece dovrebbe essere ormai chiaro che il motivo per cui il sistema è sempre più privo di flusso non è la presenza di dighe, ma l’assenza di flusso stesso, e che non si sarà quindi soluzione fino a quando questo non sarà ripristinato, e il suo ripristino non può che passare da una rinnovata e forte iniziativa pubblica.
Questo Monti non lo può, nè lo vuole fare, perchè ne è impedito da qualcosa di ben più forte dei vincoli parlamentari o degli interessi cosiddetti corporativi, ovvero la propria stessa constituency ideologica, prima ancora che materiale.
Si tratta di una gabbia di cui anche la sinistra italiana ed europea è stata prigioniera negli ultimi 20 anni, persino con alcune comprensibili ragioni, ma che non a caso oggi è stata abbandonata ad ogni angolo del continente.
Sarebbe imperdonabile se sull’altare del governo Monti e delle pigrizie, paure e abitudini di un ceto politico invecchiato, il centrosinistra italiano scegliesse di continuare a vivere negli anni ’90, con uno sguardo interessato agli ’80, ’70, ’60.
Oggi più che mai è invece necessario scegliere la via dell’alternativa, prima di trovarci alternativi al resto d’Europa.

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