martedì 31 gennaio 2012

Un'Italia bipolare


Quello che abbiamo alle spalle passerà probabilmente alla storia del nostro paese come il ventennio perduto, molto più che il ventennio berlusconiano.
Se infatti è indubbio che l’uomo di Arcore abbia informato di sè l’intero sistema politico, determinandone orientamento e cultura di fondo, struttura delle alleanze e costruzione del senso e del discorso, altrettanto certo è che il sistema così costituito abbia finito per avvitarsi progressivamente su se stesso, smarrendo ogni capacità di orientamento delle dinamiche sociali.
E’ così che l’Italia, già sesta economia globale, ha attraversato gli anni ’90 e ’00 non sui binari propri dell’Occidente, ma su quelli della periferia del mondo, subendo processi di spogliazione della ricchezza collettiva, di impoverimento di massa, di eutanasia della classe media che nulla hanno a che fare nemmeno con il ciclo di crescita del neo-liberismo.
In parallelo, avanzavano dinamiche di riduzione a pulviscolo della società, di eradicamento delle vecchie identità collettiive, senza che altre subentrassero se non a livello di aggregato di immediata prossimità, di perdita di ogni capacità reale di rappresentanza sociale.
In assenza di qualisiasi narrazione collettiva diversa dalla falsa coscienza berlusconiana e dalla sua antitesi speculare, l’Italia è mutata in profondità senza averne percezione e riconoscimento, come accade a quelle piante attaccate alla radice e apparentemente sane  fino al momento stesso dello schianto.
L’aria immobile ha lasciato in piedi gli alberi, ma tutto cambia ora che il vento della crisi spazza forte ogni spazio e anfratto della vita.
D’un tratto, appare inerme il sindacato, vuote di senso le organizzazioni padronali, smarriti i partiti, aliena la Chiesa.
Si affacciano nuovi protagonisti fuori tempo massimo, neoliberisti del mattino al tempo del crepuscolo, mentre la polvere della società si alza ad ogni turbinio, capace di riempire minacciosa lo spazio di un attimo, per poi ricadere inerte al placarsi della fola, priva della forza vera, che è sempre forza di legami.
E’ di legami infatti che abbiamo disperato bisogno, solidarietà avremmo detto, senza avere tempo per costruirli, perchè il tempo del cambiamento è ora.
Abbiamo tutti l’esatta percezione che solo periodi lunghi possano permettere il sedimento di reti sociali spesse, senza cui la politica perde il proprio stesso etimo, ma ci muoviamo in una fase di mutazioni rapide, che necessita di essere afferrata, perchè potenzialmente carica di ogni trasformazione.
Quindi è esattamente a questo punto della riflessione che si situa il nodo gordiano della sinistra, molto più che nelle dispute su leadership e programmi.
Il nostro campo è scosso, facile terreno di scorribande populiste, preda di pulsioni contraddittorie, abitato da partiti e organizzazioni percepite spesso e talvolta non a torto come parte del problema.
La sola esistenza di Grillo e del suo movimento, per non parlare del suo crescente, innegabile successo, dovrebbe esserne prova sufficiente.
Inseguire ila banshee populista, per sua natura disgregatrice, porta alla palude dell’indifferenza, combatterla conduce molti ad abbandonarsi alla sua seduzione.
Se si accetta la dimensione della politica che rappresenta in sè il fondamento della democrazia rappresentativa, ovvero la mediazione, il confronto, la dialettica aperta, si finisce per apparire funamboli di un regime in caduta libera.
Se si fugge nella denuncia isterica, istrionica, urlata, nel pensiero negativo, nella paranoia della purezza ideologica ed etica o presunta tale, si rinuncia ad ogni possibilità di governo del cambiamento, per divenire piuttosto complici della restaurazione.
Ma i due elementi, che appaiono antitetici, convivono nella stessa famiglia, generando un campo di dissociati che rapidamente può divenire un campo di macerie.
Chiudo quindi con una domanda. Come ricondurre ad un discorso razionale sul futuro, tentativo sinora riuscito solo nell’eccezionale esperienza di alcuni territori, una metà almeno del paese, quando la fuga nel delirio sembra per molti di noi l’unico antidoto individuale allo spiazzamento della crisi?

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