martedì 3 gennaio 2012

L'OMSA, le chiacchiere, la realtà


Il caso OMSA è uno dei fiumi carsici del male che attraversa il nostro paese. 
Scompare e poi riaffiora nella coscienza collettiva con il suo carico di parole che trascinano a fondo. Crisi, delocalizzazione, cassa integrazione, licenziamenti. 
E così, dopo la stagione dei tavoli, degli accordi, dei rinvii, arriva un padrone a ricordarci che nel decadimento della civiltà del lavoro la fabbrica è cosa sua e come tale ha il diritto di trattarla.
Fa sentire impotenti questo ritorno alla verità primordiale del mercato, alimenta la rabbia e la sfiducia, se può affermarsi al centro dell’Emilia Romagna, nella ricca, solidale, un tempo rossa Emilia Romagna.
Alle lavoratrici dell’OMSA io vorrei dire ciò che Enrico Berlinguer manifestò agli operai davanti ai cancelli della FIAT in quel settembre di trent’anni fa.
Vorrei dirlo senza che suonasse ridicolo e arrogante, e tale senza dubbio sarebbe in bocca a me, e vorrei poter promettere che tutta la politica non le lascerà sole.
La politica non gode di buona salute in Italia, ma muore se balbetta o inciampa in situazioni come queste, perchè si rannicchia nel proprio guscio di impotenza.
A che serve la politica, intesa come istituzioni di ogni livello, se si permette che nel centro della crisi 239 donne possano perdere il posto di lavoro, senza che esista nessuna ragione economica perchè questo debba accadere?
A che serve la politica, intesa come comunità solidale di donne e uomini, se si accetta come parte della vita che in centinaia si possa essere consegnate al deserto dell’assenza di prospettive?
Il 2012 nella mia terra è iniziato con un affondo pesante contro le chiacchiere sull’articolo 18, sulla riforma del mercato del lavoro, sui sacrifici per il bene comune.
La realtà è che c’è chi può giocare con la vita degli altri e chi non ha altra scelta che lottare per la propria.
E quindi le istituzioni, il governo locale e quello nazionale, i partiti, ogni cittadino e cittadina deve semplicemente scegliere da che parte stare.
Oggi è il tempo che si dica alle lavoratrici dell’OMSA che noi saremo con loro, e ci saremo ogni giorno, fino a quando i cancelli di quella fabbrica non riapriranno.
Ed è il tempo che si dica che in questo paese non sarà più tollerato che un solo posto di lavoro sia cancellato arbitrariamente per la volontà di un uomo, per un euro in più di profitto, per la stanchezza di un capitalismo senza altre idee se non quella di pagare un po’ di meno un’ora di lavoro.
Se ne vada il sig.Grassi, se crede, ma lasci intatta la possibilità per 450 donne di costruire con il lavoro il proprio futuro.
Dalla crisi potremo uscire in tanti modi, con un ritorno all’800, con la negazione dei diritti e la proprietà privata della vita altrui, o con una nuova civiltà del lavoro come bene comune e obiettivo fondamentale di ogni scelta di politica economica.
Il destino dell’OMSA saprà dirci molto di questo. Noi abbiamo già scelto il nostro campo.

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