giovedì 8 settembre 2011

Data di scadenza : ora

Sono stato la settimana scorsa al Tilt Camp, momento di riflessione politica collettiva a 360 gradi, caratterizzato da una forte connotazione generazionale. Bell’esperienza, partecipazione importante di giovani di ogni regione italiana, contenuti forti e partecipati.
Mi resta una domanda. Esiste una specifica questione giovanile in Italia, o almeno un determinato punto di vista generazionale sui problemi e le prospettive del paese?
Ammetto che può sembrare una domanda retorica o provocatoria, in un paese caratterizzato da uno spaventoso tasso di inoccupazione giovanile, da una generale assenza di prospettive di medio periodo, da condizioni proibitive di accesso a beni primari come la casa, da un’età media molto avanzata nelle posizioni di vertice in tutti i settori della vita associata.
E tuttavia, se affrontata in termini di rivendicazione degli ultimi e dei penultimi arrivati verso strutture e strumenti di potere che ne limiterebbero le potenzialità frustrandone le ambizioni, la questione mi sembra fuorviante.
Non credo infatti che i giovani in Italia siano particolarmente maltrattati, quanto piuttosto che scontino evidenze e contraddizioni di una struttura sociale profondamente mutata nel trentennio per scarto progressivo.
L’Italia viene da un lungo ciclo di riforme e interventi che hanno progressivamente favorito la rendita a scapito della base produttiva, alimentato la crescita delle disuguaglianze, determinato l’uscita o il mancato ingresso nei settori avanzati dell’economia industriale e quindi impoverito la base materiale del paese.
Lo ha fatto tuttavia non attraverso scelte traumatiche come quelle che in un decennio rivoluzionarono la geografia umana della Gran Bretagna, ma portando a scadenza le proprie cambiali sociali, salvo rinegoziare drasticamente le condizioni dei contratti futuri.
Ne ha ricevuto in cambio una relativa pace sociale, mentre tutto intorno si preparava un campo minato.
Oggi le giovani generazioni vivono la realtà del paese, mentre ciò che resta dei nati prima degli anni ’70 continua a scontarne una rappresentazione irreale, l’ultimo atto artefatto dell’Italia del boom economico e delle conquiste sociali prima della calata finale del sipario.
La crisi immette certo nel sistema alcune variabili impazzite, accelerando i tempi di irruzione della realtà, ma resta a ben vedere una crisi a due facce, con conseguenze diverse sui diversi attori sociali. Moltissima cassa integrazione per chi disponga di un contratto a tempo indeterminato, espulsione dal ciclo economico per i precari, danni ingenti per le imprese produttive, poche crepe nel sistema della rendita, soprattutto immobiliare.
Permane dunque una differenza fra chi possa godere del vecchio stato sociale e chi ne sia escluso, fra chi appartenga alla vecchia economia produttiva e chi goda i benefici dell’ultima economia predatoria.
Ciò che non dovrebbe tuttavia accadere è di confondere la coabitazione di due Italie con la loro compresenza, cadendo nello stereotipo di ipotetici conflitti fra giovani e meno giovani, garantiti e non garantiti.
L’Italia delle garanzie è infatti ad esaurimento, e la crisi non fa che accelerarne la data di scadenza. Il presente e il futuro sono l’altra Italia, quella del precariato come anticamera dell’impoverimento di massa, dei privilegi difesi con tenacia come unica ancora di sopravvivenza per categorie al tramonto, della fine rapida e dolorosissima del ceto medio, dei patrimoni erti a bastione di immobilismo sociale.
Parlare quindi di questione generazionale, dilatandone peraltro ormai oltre misura i limiti anagrafici, a me sembra fuorviante, quando in campo c’è invece una rinnovata e urgente questione sociale, di cui i nati negli ’80-’90 portano per intero il peso sulle spalle.
Perché è un curioso destino quello di essere avanguardie di futuro, quando quello che è stato disegnato per noi reca tutti i segni dello scadimento.
Come affacciarsi al mondo, vedere un volto inatteso e orrendo, e sentirci dire che quello è lo specchio del mondo che verrà.
Finisce che non si hanno colpe né responsabilità, ma tocca muoversi per cambiarlo il presente, prima che ci afferri e si confermi.
Il mezzo, piaccia o meno, è la politica, dove, sia detto per inciso, un problema generazionale esiste, nei livelli di responsabilità delle giovani generazioni, ma anche nella loro capacità di esigere per se stesse quei livelli, fino ad ottenerli.
Per quanto possa sembrare incredibile, la politica vive una tale debolezza da essere uno dei pochi campi realmente contendibili nella mappa della società italiana.
E’ una debolezza fatta tra l’altro di conformismo, obbedienza, opportunismo. Può sembrare la riproduzione fedele del lato più oscuro del paese, eppure, come dimostrano le migliori esperienze degli ultimi anni, può essere con facilità mutata di segno, se agitata dal virus del cambiamento.
Spetta ai giovani, alle donne, alle intelligenze e ai corpi offesi, ma spetta farlo ora, quando il treno della democrazia suona l’ultima campana.

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