giovedì 31 gennaio 2013

Lo spettacolo della sinistra-glossa


Il Manifesto oggi pubblica un editoriale di Norma Rangeri dal titolo Lo spettacolo della sinistra, in una prima pagina ancor piú eloquente, dove alle foto di Vendola e Ingroia si accompagna cubitale ASTENETEVI.
L'articolo colpisce, perchè è certamente in sintonia con i sentimenti di molti di noi, che da giorni assistono da protagonisti o spettatori alla rissa continua che coinvolge SEL e RC, trasformando in rumore di fondo le rispettive campagne elettorali.
Tuttavia non aiuta, perchè dopo aver individuato il nodo vero della divisione a sinistra, e senza aver tralasciato di cogliere di passaggio l'importanza cruciale del prossimo appuntamento elettorale, lo mette fra parentesi, per concentrarsi su ció che dovrebbe unire, ovvero obiettivi di massima e valori.
Non serve infatti a nulla evidenziare le affinità presunte o reali fra SEL e RC su antiliberismo, pace e modello di sviluppo, e glissare sul nodo del governo, come se le prime dovessero prevalere sul secondo, e evitando peraltro di considerare la realtà del sistema elettorale e istituzionale vigente, come se vivessimo ancora nella Prima Repubblica del proporzionale.
In questo modo si partecipa a invertire l'ordine del dibattito e non si contribuisce a quello che dovrebbe essere lo scopo, riportare il confronto a sinistra sul binario corretto.
E' infatti del tutto chiaro che sul piano programmatico esista un'affinità fra le proposte di SEL e RC, così come su quello dei valori e forse persino dei fini ultimi.
Ma tutto questo è ininfluente, davanti alle due questioni centrali e intrecciate che dovrebbero animare la campagna elettorale e determinare le scelte a sinistra.
La prima è la valutazione della fase, che puó essere interpretata come momento cruciale di passaggio per il futuro dell'Italia e dell'Europa, o come estrema propaggine di un ciclo lungo del neoliberismo.
Si tratta in altre parole di capire se il vecchio sia già morto e il nuovo in gestazione, o se il vecchio sopravviva e ancora abbia la forza di trascinare i vivi con se.
Da qui discende la seconda domanda, più politica e immediata.
E' questo il nostro momento, quello in cui la sinistra possa portare fino al governo la sfida del cambiamento? O quello a cui dobbiamo ambire è una battaglia parlamentare di opposizione ai Monti e ai Berlusconi di sempre, in un'Europa lasciata priva di una sponda a sinistra dall'Italia?
Perché è di questo che stiamo parlando, e il discorso va portato avanti fino in fondo senza infingimenti. Compreso quello di dar credito all'idea che una pattuglia di 20 parlamentari appartenenti oggi e domani a 4 partiti diversi per cultura e prospettive possano incidere molto di più di quanto in questi 15 mesi abbia potuto fare la sola IDV, in assenza di movimenti sociali di cui oggi non si vede traccia diffusa. Vale a dire nulla, perché non si possono nascondere le torsioni di un sistema democratico che riduce a mera rappresentanza il ruolo dell'opposizione, al punto che una restituzione al Parlamento della funzione assegnatagli dalla Costituzione è uno dei temi correttamente nell'agenda del centrosinistra.
Portiamolo qui, il confronto fra le tante forze del cambiamento in Italia, sul terreno molto materialista e laico dell'efficacia, e non sarà meno duro e acceso, ma certamente più utile e comprensibile.  

domenica 20 gennaio 2013

Il centrosinistra basti a se stesso ed al paese


Si apre la campagna elettorale per quella che potrebbe essere una fra le legislature più significative della storia repubblicana, inserita nel mezzo di una lacerante crisi economica e sociale, in un quadro di ridefinizione degli equilibri internazionali, al punto più basso di credibilità degli attori politici e delle istituzioni democratiche.
Non si apre bene, fra un PD che pare restituito alle sue storiche contraddizioni e balbettii, i prodromi di una rissa a sinistra feroce quanto sterile, la deriva autoritaria del M5S e la rinnovata carica della destra berlusconiana, troppo presto derubricata a ricordo, in un paese che in nome di un ipocrita anticomunismo ha saputo digerire cose ben peggiori dell’immoralità di Arcore.
In mezzo Monti, ancora convinto di dover salvare l’Italia da se stessa e di poterlo fare con i voti altrui, memore dell’antica massima per cui i voti non si contano, si pesano, e i suoi, modestamente, hanno un peso laico ed ecclesiale.
Non aiuta una legge elettorale costruita per esaltare ogni imperfezione del nostro bicameralismo perfetto, abbinando un abnorme premio di maggioranza alla Camera alla difficoltà estrema di garantirsi una maggioranza risicata al Senato, con un pugno di Regioni detentrici della sovranità di ultima istanza.
E quindi siamo qui, in un paese che ha sperimentato fino all’ultimo le ricette delle due destre italiane, a chiedere un voto per il centrosinistra giocando sulla difensiva, con un palpabile, crescente timore di non farcela, al punto di lasciar intendere che anche se ce la facessimo, nessuno si preoccupi, perchè faremo finta di niente.
Sia chiaro che se è una mezza vittoria che si vuole, questo è il modo migliore per ottenerla.
Il centrosinistra si è insediato con forza nell’elettorato italiano con le primarie, quando ha avuto la forza di mettere in evidenza la pluralità dei suoi contorni, e insieme la capacità di portarli ad una sintesi nitida.
Si sono visti allora protagonisti di storie diverse e portatori di sguardi diversi sul futuro mettersi insieme nella competizione per scrivere un progetto condiviso di paese.
Sono quello spirito e quei protagonisti che vanno recuperati rapidamente, oggi che di nuovo sembra prevalere il vecchio vizio della tattica e delle mezze parole.
Patrimoniale non è un insulto, ma la condizione di una maggiore equità fiscale; il mitico centro non è un’oasi a cui aspirare, ma un antagonista elettorale, e lo stesso vale per Ingroia e la sua compagnia, a cui si possono contendere i voti, non chiedere impossibili desistenze.
E non è possibile ignorare il Mali e l’intero Sahel per anni, e poi cavarsela con una fiducia incondizionata alla Francia, quasi che l’Africa subsahariana continuasse a essere il suo cortile di casa.
Io credo, e sono incrollabile in questo, che il centrosinistra rappresenti l’ultima speranza per l’Italia di imboccare una via di uscita dalla crisi diversa dalla demolizione dello stato sociale, dal ritorno ad un classismo teorizzato e praticato, dalla perdita di diritti e quindi, in definitiva, dall’aumento delle disuguaglianze come motore dello sviluppo.
Credo che sia possibile recuperare il filo di una ripresa che abbia al centro una crescente equità nel carico fiscale e nella distribuzione della ricchezza, che il welfare possa essere protagonista di una fuoriuscita positiva dalla recessione, che debba tornare a vedersi chiaramente una mano pubblica nell’economia, e che sia possibile fare questo nel quadro di un’Europa che ritrovi se stessa e investa in una maggiore integrazione democratica.
Sono altrettanto certo che rincorrere i fantasmi di una famiglia che non c’è più non la farà tornare in vita, quando invece sarebbe utile riallineare il cervello all’età in cui si vive e liberarne la ricchezza e la pluralità.
Credo anche che governare non sia una sfiga  a cui opporre scongiuri, ma la condizione per provare a realizzare quei progetti e valori a cui tutti a parole sosteniamo di richiamarci, e che ogni singola elettrice ed elettore della sinistra debba chiedersi se le è rimasto quel briciolo di speranza che ti fa dire proviamoci ancora.
Nelle prossime settimane di campagna elettorale vorrei parlare di queste cose, senza essere possibilmente boicottato da chi si adagi in uno schema che prevede per il PD l’inseguimento di Monti, e per SEL la baruffa a sinistra.
No grazie, vorremmo bastare a noi stessi ed al paese.