venerdì 29 giugno 2012

Italia, Europa, 2012. E io devo avere paura di Casini?


Abbiamo rimesso l’UDC, un partito uscito dalle amministrative conscio solo della propria irrilevanza, al centro della sceneggiata politica.
Come è potuto succedere?
Per il vecchio vizio della sinistra di innamorarsi tanto delle proprie idee da concedere loro un’ultima possibilità anche post-mortem.
Così Bersani, che aveva corteggiato senza risultati Casini per l’intera durata della legislatura, quando il Terzo Polo poteva veleggiare al vento della stampa amica e dei soliti sondaggi, ha potuto scambiare la mano disperata che chiede aiuto per quella vigorosa che lo offre.
E tornare immediatamente al solito, vecchio, tranquillizzante schema del grande partito popolare alleato con le forze responsabili di progresso, SEL, e le migliori esperienze del cattolicesimo democratico e costituzionale, l’UDC.
E l’IDV? Che c’entra l’IDV, questo accrocchio nè laico, nè cattolico, nè di centro, nè di sinistra, senza alcun riferimento nelle grandi culture politiche del paese, questo Cimabue del grillismo, specchio del berlusconismo, pure un po’ volgare e cinico oltre misura?
Nulla, appunto, e quindi ignorato e espulso dai campi della Politica.
Che poi l’IDV sia parte integrante del centrosinistra materiale del paese, che ne abbia condiviso battaglie e valori, che abbia contribuito alle più belle pagine del centrosinistra municipale degli ultimi 5 anni non conta niente.
Prendiamoci il Casini imbolsito e restituiamogli la scena, a questo degno rappresentante dell’Italia di mezzo, molto più che di centro, quella fatta di rendite di posizione, di relazioni vischiose, spaventata dal rischio e avvinghiata ad ogni privilegio, genuflessa alle gerarchie cattoliche, sempre in cerca di un’occasione molto più che di un’opportunità, che quando di ce meritocrazia guarda sempre e solo in basso, perchè altrimenti prevale il tengo famiglia.
Un impasto indigeribile, che ha consumato lo stomaco del paese per decenni, da cui sarebbe bene stare molto lontani, se non altro per una questione di igiene politica.
Ma detto questo, veramente dobbiamo avere paura di questa roba qui?
Veramente nell’Europa che sceglie Hollande, che vede traballare i conservatori tedeschi e britannici, nell’Italia di Pisapia, Doria, Zedda, De Magistris dobbiamo avere paura di questa roba qui, dobbiamo arrenderci all’idea che sia tanto velenosa da contaminare ogni cosa che tocca?
Per non parlare di quell’altro personaggio in cerca di autore, occasionalmente sindaco di Firenze.
Io non ho paura, perchè credo che la sinistra sia soprattutto coraggio, capacità di tenere lo sguardo dritto sul futuro, anche e soprattutto quando alle spalle la casa brucia.
Io voglio il cambiamento ora, perchè i prossimi anni saranno quelli che segneranno la strada per quelli a venire, e non li voglio passare in panchina, a bestemmiare sull’incapacità di quelli in campo.
Io credo nelle mie idee, perchè ci credevo anche quando dicevano che erano fumisterie, e quelli che sapevano dove andare ci portavano esattamente dove siamo, al punto più basso consentito alla pace.
Non ho complessi di identità, non mi sento solo, non devo chiedere ad altri qual’è la direzione, perchè l’ho già scoperta insieme alle lavoratrici e ai lavoratori italiani, ai precari, ai disoccupati e agli eterni cassintegrati, al movimento delle donne e a quello contro le guerre, ai senza diritti e ai senza famiglia, a quelli condannati ad un’eterna gioventù e a quelli per cui la vecchiaia è una condanna.
So che sono forte, ma anche piccolo e fragile, perchè in questo paese la crescita improvvisa è consentita solo a chi è pronto a indossare la maschera eterna del gattopardo, e quindi ho bisogno di appoggiarmi anche ad altri, anche a chi crede di aver trovato in Casini un nuovo Moro.
A me Casini, sia detto con rispetto, fa brutto, ma proprio brutto. Ma mi rifiuto di considerarlo un mio problema.

domenica 24 giugno 2012

Dice Bersani. E parla d'altro.


Dice Bersani che Berlusconi pensi al voto anticipato in autunno.
Dice Bersani che lo faccia candidandosi a interpretare la montante ostilità per l’Euro.
Dice Bersani che tutto questo è irresponsabile, perchè i mercati giudicherebbero negativamente tanto le elezioni in ottobre, quanto il ritiro nella Lira del paese.
Dice Bersani che domani il PD vincerebbe facile, ma che non vuole farlo sulle macerie del paese.
Quello che non dice è cosa cambierebbe fra domani e dopodomani, dato che, nonostante i tremori del PD, al voto in primavera bisognerà pur andarci, e quale sia il vantaggio di concedere 6 mesi in più ad un governo incapace, sostenuto da una maggioranza inerte, con la spada di Damocle di una sempre viva alternativa parlamentare PDL-Lega.
Quello che non dice è che ai mercati nulla importa del sig.Monti, del sig.Rajoy e della sig.ra Merkel, ma solo di sapere a quali condizioni potranno fare business nei prossimi anni, e questo nell’Europa, e quindi nel mondo odierno, non è dato conoscerlo, dato che i mercati producono incertezza e che la politica si è ritirata, divisa e aggrovigliata.
Quello che non dice è cosa saprà contrapporre il centrosinistra alle pulsioni neo-nazionaliste di Berlusconi, fatte apposta per recuperare su un terreno fertile un rapporto politico con la Lega, e persino col M5S, che dell’ostilità all’Euro e alla plutocrazia del debito farà la propria bandiera elettorale.
Sapendo che i neo-nazionalisti già governano la Germania, e che quindi il futuro della UE non può passare da un cedimento o da una mediazione al ribasso con le attuali posizioni tedesche, come giustamente intuito e ribadito tanto da Hollande, quanto da Syriza.
Il non-dire è stata d’altronde la cifra identitaria del PD, ciò che gli ha permesso di aggregare le contraddizioni senza mai scioglierle, se non nell’affermazione della propria diversità estetica dal carnevale berlusconiano.
Oggi non solo non basta più, ma diventa un ostacolo per chi cerchi un’uscita in avanti dalla crisi del paese e della UE.
Noi abbiamo infatti bisogno di qualificare, di aggettivare tre parole chiave, che in assenza di ulteriore denominazione rimangono cariche di una pericolosa ambiguità.
Queste parole sono crescita, cambiamento, Europa.
Fuori da qualsiasi suggestione, in assenza di crescita non c’è infatti nuova occupazione, nè mobilità sociale, nè equilibrio finanziario di breve e medio termine, nè tenuta del welfare. 
Questo, in un quadro di disoccupazione giovanile al 30% e di allungamento della vita lavorativa, è semplicemente folle.
Ma la crescita va aggettivata, perchè si tratta di comprendere se a generarla debba essere il mercato o la spesa pubblica, quale ruolo debbano avere industria e ricerca, il rapporto fra esportazioni e domanda interna, le basi sociali e ambientali su cui innervare l’economia, la politica fiscale.
In questi ultimi anni l’unico spazio in cui si sia sviluppato un dibattito su questi temi è la relazione fra FIOM e Marchionne, che la politica, e il centrosinistra in particolare, ha volutamente ignorato.
Occorrerà quindi ripartire da li, e farlo con una scelta che non può essere mediata.
Il cambiamento è ciò che in Italia vogliono tutte e tutti, al punto da farne un’arca che può imbarcare qualsiasi avventura e gattopardo.
Per questo è da rigettare l’allusione vuota alla voglia di cambiare, senza riempirla di contenuti netti e determinati, che chiariscano rapidamente che la sfida non è sul tasso di novità e alterità, ma sul senso di marcia che si vuole imprimere al paese.
I francesi hanno scelto Hollande, perchè ha dato un significato profondo e comprensibile alla parola cambiamento.
Se la gara fosse stata alla radicalità della svolta, Marine Le Pen non avrebbe avuto concorrenti, perchè sfido chiunque a sostenere che quello al FN sia un voto conservatore.
L’Europa, infine, che oggi appare una gabbia, nemmeno troppo dorata.
L’UE odierna somiglia sempre più al NAFTA degli anni ’90, con la Germania nella posizione degli USA. 
Il NAFTA appartiene alla storia, e a queste condizioni l’UE rischia la stessa fine, ma con ripercussioni assai peggiori sugli equilibri locali e globali, perchè la Germania non ha la proiezione strategica degli USA, e perchè l’Euro non è un semplice accordo sul cambio fisso, ma la seconda moneta mondiale.
Occorre tuttavia sapere che l’attuale posizione tedesca, con il suo corollario di pareggi di bilancio e fiscal compact, rende il quadro attuale insostenibile sul breve periodo.
Affrontare la prossima campagna elettorale alla greca, invocando sic et simpliciter un referendum sull’euro a favore del centrosinistra, date le ambigue posizioni berlusconiane, sarebbe quindi un doppio suicidio, perchè rischierebbe di non incontrare il favore dell’elettorato, ma soprattutto perchè non chiarirebbe l’opposizione italiana agli attuali equilibri europei.
Noi dovremmo rilanciare sugli Stati Uniti d’Europa, come spazio politico in cui riaffermare welfare e democrazia, realizzando un’alleanza esplicita con la Francia socialista e con i paesi mediterranei.
La prossima campagna elettorale si giocherà sulla capacità di interpretare questi tre temi.
La mia impressione è che nel centrosinistra non abbiamo nemmeno cominciato, con l’eccezione parziale di SEL.
Il PD non comincerà nemmeno, perchè cerca sintesi dove servono scelte, da cui dovrebbero derivare sintesi al quadrato.
Prendiamoci l’estate per discutere e pensare. 
Intanto fissiamo la data delle primarie.

venerdì 15 giugno 2012

Chi odia il biscotto non ama il calcio


Tutti ora hanno paura del biscotto, ma io dico che chi odia il biscotto non ama il calcio.
Potrà amare lo sport, ma non ama il calcio, che è prima di tutto un gioco, con regole sue, più o meno scritte, rispettate, ortodosse e apocrife.
La possibilità sempre in agguato di un accordo a reciproco vantaggio è una di queste, e non deve stupire.
Il motivo è che l'essenza vera del calcio è nel pareggio.
Non si pareggia nel volley, nel basket, nel baseball, football, lo si fa poco nel rugby e nel cricket.
Sul pareggio il calcio ha invece costruito la media inglese e l'epica del gioco all'italiana.
Ha santificato la tattica, che è metodo di comportamento in campo e fuori.
Ha esaltato gli attaccanti, ma in realtà tutti sanno che non si va da nessuna parte senza una buona difesa.
Senza pareggio non sarebbe un gioco diverso, ma un altro gioco.
Sarà per questo che agli americani non piace.
Roba da europei, quell'indefinitezza per cui si può nè vincere nè perdere, uscire dal campo tutti soddisfatti e magari nemmeno troppo sudati.
Il pareggio introduce la diplomazia nel gioco, e una volta fatto questo il resto viene da sè.
Anche le combine, che tali non sono se libere dal tanfo delle tabaccherie di casa nostra o dei tanti uomini-busta che attraversano spogliatoi e sedi sociali.
I biscotti cucinati in campo, perché si può uscire affratellati nel segno della croce calcistica, quelli hanno invece una fragranza che chi ama il calcio per ciò che realmente è capirà sempre.
Anche mentre bestemmia e stramaledice quegli infami che si sono spartiti la torta a suo danno.

domenica 10 giugno 2012

Se primarie devono essere, primarie siano


Siamo al 10 giugno 2012. 
Le elezioni, tanto temute se anticipate a ottobre, saranno, per buona pace di tutti, inevitabili nella primavera 2013.
Nove o dieci mesi quindi, senza che ad oggi sia dato sapere nulla sulle condizioni stesse in cui si svolgeranno.
Non abbiamo certezze sulla legge elettorale, nè sul quadro costituzionale, manca un serio e credibile quadro di alleanze, per non parlare della definizione di un progetto per il paese.
A ben guardare, ignoriamo persino l’identità dei partiti, o delle liste se si preferisce, che partecipare alle elezioni.
Gli unici 2 punti fermi sono l’impossibilità di presentarsi al giudizio degli elettori per la maggioranza che sostiene l’attuale governo e la volontà del M5S di correre in solitaria, per raccogliere fino in fondo i frutti dello scempio di un esecutivo irresponsabile.
Perchè, sia detto per inciso, il paradosso attuale è che un governo tecnico tiene prigioniero l’intero quadro politico, di maggioranza e opposizione, parlamentare e extra-parlamentare, per il solo fatto di coinvolgere in un’innaturale convergenza forze politiche che il sistema di voto vincola invece all’alternativa, senza che sia più possibile addivenire al vero architrave dell’esperienza Monti, una riforma elettorale in chiave sostanzialmente proporzionale.
In un simile quadro, che si inserisce in uno scenario economico e sociale da brivido, l’unica nota positiva è stata l’apertura di Pier Luigi Bersani a primarie aperte da tenersi in autunno.
Dal mio punto di vista, saranno primarie senza paracadute. Sento già parlare della necessità di preventivi programmi minimi condivisi, chiarezza sulle alleanze postume, tavoli di confronto. Non c’è tempo per fare questo, ma soprattutto manca la coerenza politica minima. Rendiamoci conto infatti che il Bersani fischiato all’assemblea della FIOM rappresenta sotto molti aspetti l’ala laburista del PD. Figuratevi voi se sarebbe possibile scrivere un programma, pur di minima, sull’articolo 18 ad un tavolo con il PD nella sua interezza. Lo stesso dicasi sui diritti civili, sulla riforma fiscale, sulla politica economica e persino su quella estera e di difesa.
Per questo meglio, molto meglio, mettere a confronto aperto progetti politici coerenti, nitidi e alternativi, permettendo al nostro popolo di valutare quale sia il più adatto a rispondere alla prepotente domanda di cambiamento, governo e credibilità che vive nel paese.
Sapendo che le primarie sono sempre un primo passo, non l’ultimo, non un gioco a chi vince piglia tutto, e che l’intelligenza politica consiste proprio per chi si afferma nel saperne leggere tutte le sfumature, nel saper interpretare e reinterpretare se stesso alla luce dei messaggi che ne provengono.
Certo ci sarà sempre a sinistra chi giocherà allo sfascio, chi scommetterà sulla vittoria di un Renzi qualunque per poter rilanciare autistiche proposte di autonomia.
Ma non è di questo che dobbiamo preoccuparci. Alla base di ogni ragionamento deve sempre esserci la domanda che ci ha accompagnati fino a qui. Esiste un popolo del centro-sinistra, capace di riconoscersi come tale, pur nelle 1000 differenze, sfaccettature, anche radicali divergenze? Se la risposta è positiva, allora le primarie sono l’unica ipotesi sensata, data l’evidente incapacità dei partiti di rappresentare una sintesi adeguata ed efficace. 
In caso contrario, se si ritiene che l’esperienza del governo Monti e la durezza della crisi economica abbiano scavato solchi tanto pesanti nella società da renderne impossibile una ricomposizione e rappresentazione politica nel bipolarismo, richiedendo quindi un vieppiù di mediazione dei partiti, lo si affermi compiutamente e si faccia una battaglia per il proporzionale, ovvero per il proseguimento del governo Monti.
Io personalmente vedo linee di frattura crescenti, reciproche insofferenze e diffidenze in aumento, che corrono lungo la linea d’azione dell’esecutivo tecnico, ma non tali da impedire di giocare ancora l’ultima mano, a patto che la si consegni senza riserve, tatticismi e resistenze a chi detiene la sovranità.

domenica 3 giugno 2012

Italia, Europa. La tragedia dell'arte


Succede che a furia di parlar d’altro si finisca per vivere come in un altro mondo, se non che questo non esiste, fino a che quello vero finisce per reclamare la propria durezza.
In Italia il dibattito pubblico sulla crisi finanziaria, rapidamente divenuta crisi economica, e oggi crisi dell’Euro, e quindi insieme finanziaria, economica e politica, langue e vive soltanto nei dialoghi iniziatici fra pezzi di ceto pseudo-dirigente.
Della crisi ognuno vive il suo. La perdita del lavoro o la sua totale assenza chi del lavoro vorrebbe vivere, il calo prolungato della domanda e la contrazione del credito gli imprenditori, l’insufficienza del welfare i giovani e gli anziani. 
L’unico filo conduttore sono i sacrifici imposti dallo Stato in tutte le sue articolazioni, che appaiono scalini di una salita senza fine immersa nella nebbia.
In sei mesi hanno sequestrato anni di vita alle lavoratrici e ai lavoratori con la riforma delle pensioni, manomesso l’articolo 18, tassato i beni primari.
Lo hanno fatto per rassicurare i mercati finanziari, mettere in sicurezza la finanza pubblica, rilanciare l’economia.
Lo spread è al punto di partenza, la disoccupazione ufficiale ha superato il 10%, siamo in recessione durevole e conclamata.
In realtà lo hanno fatto per convincere la Germania a scommettere ancora sull’Unione Europea, assecondando l’ideologia economica suicida e nazionalista del governo Merkel-Schauble, ispiratrice della famigerata lettera della BCE.
L’Europa non può esistere senza la Germania, la Germania non intende accollarsi nulla degli squilibri economici degli altri paesi, gli altri paesi provano a mitigarne la durezza con il cilicio e la contrizione pubblica.
La destra tedesca non cambia idea, ma pare anzi contagiare la sinistra, secondo tradizione dei crediti di guerra, anche perchè mesi di ricette economiche sbagliate aumentano gli squilibri anzichè ridurli.
La Grecia si prepara a staccare la spina e ad avviare una reazione a catena dagli esiti imprevedibili, ma dalle prime pedine già individuate in Spagna e Italia.
L’Euro esce di scena e con lui l’Unione Europea. 
Si torna agli stati nazionali mentre la tempesta finanziaria si fa di fuoco.
E’ solo fantascienza? 
Se lo credete, come in un romanzo nero, seguite l’odore dei soldi, e li vedrete fuggire come topi dalle navi minate, per rifugiarsi nei porti più sicuri. 
Seguite i capitali privati, l’andamento delle borse e dei derivati, dei CDS e dei titoli di Stato.
Per questo bisognerebbe prepararsi, parlare di questo ogni giorno, parlare di Stati Uniti d’Europa e di welfare continentale come unica, urgente alternativa al ritorno dei nazionalismi e delle secessioni di ritorno, ma anche prepararsi al peggio, esserne almeno consapevoli, anzichè perdersi in scommesse di calciatori, sottane di cardinali, esegesi e anatemi del Grillo.
Ricordarsi che è possibile improvvisare nella farsa, come da vent’anni è abituata a fare la politica italiana dei Grandi Partiti, ma che non è mai esistita la tragedia dell’arte, perchè abbiamo sempre saputo che il dramma richiede preparazione e consapevolezza, negli attori e negli spettatori.
Il primo atto, appunto, si è già perso nella nebbia. 
L’intervallo si è perso in chiacchiere e balletti. 
Il secondo è alle porte, e pare quello finale.