domenica 24 giugno 2012

Dice Bersani. E parla d'altro.


Dice Bersani che Berlusconi pensi al voto anticipato in autunno.
Dice Bersani che lo faccia candidandosi a interpretare la montante ostilità per l’Euro.
Dice Bersani che tutto questo è irresponsabile, perchè i mercati giudicherebbero negativamente tanto le elezioni in ottobre, quanto il ritiro nella Lira del paese.
Dice Bersani che domani il PD vincerebbe facile, ma che non vuole farlo sulle macerie del paese.
Quello che non dice è cosa cambierebbe fra domani e dopodomani, dato che, nonostante i tremori del PD, al voto in primavera bisognerà pur andarci, e quale sia il vantaggio di concedere 6 mesi in più ad un governo incapace, sostenuto da una maggioranza inerte, con la spada di Damocle di una sempre viva alternativa parlamentare PDL-Lega.
Quello che non dice è che ai mercati nulla importa del sig.Monti, del sig.Rajoy e della sig.ra Merkel, ma solo di sapere a quali condizioni potranno fare business nei prossimi anni, e questo nell’Europa, e quindi nel mondo odierno, non è dato conoscerlo, dato che i mercati producono incertezza e che la politica si è ritirata, divisa e aggrovigliata.
Quello che non dice è cosa saprà contrapporre il centrosinistra alle pulsioni neo-nazionaliste di Berlusconi, fatte apposta per recuperare su un terreno fertile un rapporto politico con la Lega, e persino col M5S, che dell’ostilità all’Euro e alla plutocrazia del debito farà la propria bandiera elettorale.
Sapendo che i neo-nazionalisti già governano la Germania, e che quindi il futuro della UE non può passare da un cedimento o da una mediazione al ribasso con le attuali posizioni tedesche, come giustamente intuito e ribadito tanto da Hollande, quanto da Syriza.
Il non-dire è stata d’altronde la cifra identitaria del PD, ciò che gli ha permesso di aggregare le contraddizioni senza mai scioglierle, se non nell’affermazione della propria diversità estetica dal carnevale berlusconiano.
Oggi non solo non basta più, ma diventa un ostacolo per chi cerchi un’uscita in avanti dalla crisi del paese e della UE.
Noi abbiamo infatti bisogno di qualificare, di aggettivare tre parole chiave, che in assenza di ulteriore denominazione rimangono cariche di una pericolosa ambiguità.
Queste parole sono crescita, cambiamento, Europa.
Fuori da qualsiasi suggestione, in assenza di crescita non c’è infatti nuova occupazione, nè mobilità sociale, nè equilibrio finanziario di breve e medio termine, nè tenuta del welfare. 
Questo, in un quadro di disoccupazione giovanile al 30% e di allungamento della vita lavorativa, è semplicemente folle.
Ma la crescita va aggettivata, perchè si tratta di comprendere se a generarla debba essere il mercato o la spesa pubblica, quale ruolo debbano avere industria e ricerca, il rapporto fra esportazioni e domanda interna, le basi sociali e ambientali su cui innervare l’economia, la politica fiscale.
In questi ultimi anni l’unico spazio in cui si sia sviluppato un dibattito su questi temi è la relazione fra FIOM e Marchionne, che la politica, e il centrosinistra in particolare, ha volutamente ignorato.
Occorrerà quindi ripartire da li, e farlo con una scelta che non può essere mediata.
Il cambiamento è ciò che in Italia vogliono tutte e tutti, al punto da farne un’arca che può imbarcare qualsiasi avventura e gattopardo.
Per questo è da rigettare l’allusione vuota alla voglia di cambiare, senza riempirla di contenuti netti e determinati, che chiariscano rapidamente che la sfida non è sul tasso di novità e alterità, ma sul senso di marcia che si vuole imprimere al paese.
I francesi hanno scelto Hollande, perchè ha dato un significato profondo e comprensibile alla parola cambiamento.
Se la gara fosse stata alla radicalità della svolta, Marine Le Pen non avrebbe avuto concorrenti, perchè sfido chiunque a sostenere che quello al FN sia un voto conservatore.
L’Europa, infine, che oggi appare una gabbia, nemmeno troppo dorata.
L’UE odierna somiglia sempre più al NAFTA degli anni ’90, con la Germania nella posizione degli USA. 
Il NAFTA appartiene alla storia, e a queste condizioni l’UE rischia la stessa fine, ma con ripercussioni assai peggiori sugli equilibri locali e globali, perchè la Germania non ha la proiezione strategica degli USA, e perchè l’Euro non è un semplice accordo sul cambio fisso, ma la seconda moneta mondiale.
Occorre tuttavia sapere che l’attuale posizione tedesca, con il suo corollario di pareggi di bilancio e fiscal compact, rende il quadro attuale insostenibile sul breve periodo.
Affrontare la prossima campagna elettorale alla greca, invocando sic et simpliciter un referendum sull’euro a favore del centrosinistra, date le ambigue posizioni berlusconiane, sarebbe quindi un doppio suicidio, perchè rischierebbe di non incontrare il favore dell’elettorato, ma soprattutto perchè non chiarirebbe l’opposizione italiana agli attuali equilibri europei.
Noi dovremmo rilanciare sugli Stati Uniti d’Europa, come spazio politico in cui riaffermare welfare e democrazia, realizzando un’alleanza esplicita con la Francia socialista e con i paesi mediterranei.
La prossima campagna elettorale si giocherà sulla capacità di interpretare questi tre temi.
La mia impressione è che nel centrosinistra non abbiamo nemmeno cominciato, con l’eccezione parziale di SEL.
Il PD non comincerà nemmeno, perchè cerca sintesi dove servono scelte, da cui dovrebbero derivare sintesi al quadrato.
Prendiamoci l’estate per discutere e pensare. 
Intanto fissiamo la data delle primarie.

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