Un governo ottuso di conservatori
regge la Germania ,
la Francia è
sotto ricatto, l’Italia vive la peggiore notte politica della sua storia
repubblicana.
Gli Stati Uniti non hanno la
forza di esercitare alcuna funzione egemonica sul vecchio continente. La crisi
globale non poteva innestarsi su un quadro peggiore.
Appare infatti evidente che uno
dei fattori che maggiormente incide sull’incapacità di costruire nuove regole e
nuovi equilibri nelle dinamiche della finanza e degli scambi mondiali, e quindi
di indicare una via di uscita duratura dall’attuale fase di instabilità, sia
l’assenza politica della maggiore area economica del pianeta, l’Europa.
Dall’Europa non si può
prescindere, l’Europa non esiste. Non solo e molto peggio. L’Europa è oggi
seriamente a rischio anche come unità economica, per incapacità, debolezza o assenza di volontà dei suoi maggiori
aderenti.
E’ opinione diffusa che
l’epicentro del problema sia l’Italia, con il suo impronunciabile debito
pubblico e, fino a ieri, la sfacciata inconsistenza della sua leadership
politica.
Non è così.
L’epicentro del problema è ed è
sempre stato la Germania
e la totale assenza di visione del gruppo dirigente conservatore al potere.
L’Italia è debole , presta il
fianco alla pressione finanziaria di chi scommette sulla fine dell’Euro, è
stata trascinata in un limbo periferico, ma continua ad essere troppo grande
per fallire in solitudine. Ma è la
Germania , in una UE dalla governance bloccata, ad avere la
responsabilità delle scelte sul futuro, e in questo momento è prigioniera di
un’ideologia che mischia nazionalismo passivo e liberismo.
Non si può infatti definire in
altro modo l’atteggiamento di chi, pur sapendo che nessun paese può reggere
nemmeno a breve termine la crescita esponenziale dei tassi di interesse, in
assenza di interventi massicci della propria banca centrale, insiste nel
mantenere la BCE
incollata al proprio ruolo di bastione del rigore e del monetarismo.
Lasciando balenare l’idea che
forse la stretta si potrebbe un po’ allentare, ma solo a patto di sacrifici
umani, di misure che, pur se recessive, indichino la disponibilità alla
contrizione morale.
Il momento è eccezionale, ma
viene affrontato da Berlino come se il liberismo non avesse già dimostrato la
propria fatale vocazione alla crisi e la propria assoluta incapacità di
governarla, e come se i paesi del Mediterraneo altro non fossero che uno dei
tanti Sud del mondo, cui far ingoiare il veleno dei piani di ristrutturazione.
C’è un cupio dissolvi in questo
approccio da parte di un paese che ha avuto e ha nell’Unione Europea il proprio
primo mercato commerciale e finanziario, nonché un’indiscussa funzione di guida
potenziale.
Il crollo dell’Eurozona sarebbe
certo fatale per Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Francia, ma non
lascerebbe la Germania
sovrana sulle macerie di un continente. Ne sarebbe piuttosto sepolta, chiusa
nelle proprie anguste dimensioni di piccola potenza nazionale in un mondo che
richiede ben altre dimensioni.
La destra europea sta
distruggendo le radici sociali e culturali dell’integrazione continentale. E’
un gioco molto pericoloso e intrinsecamente populista, anche quando veste i
panni modesti di Angela Merkel o dei suoi commissari mediterranei. Perché nasconde
i problemi, fingendo che esistano soluzioni nazionali a problemi che sono
iscritti nello statuto della BCE, nell’assenza di politica europea, nei
parametri di Maastricht, nell’ossessione per la deflazione, che prescinde da
ogni considerazione di politica economica.
Non c’è soluzione della crisi, se
non si saprà uscire rapidamente e con forza dai confini degli stati nazionali e
dei residui ideologici del neo-liberismo.
La destra è impossibilitata a
farlo.
La sinistra saprà costruire
rapidamente un proprio profilo non solo europeista, ma europeo, che sappia
indicare la via degli Stati Uniti d’Europa e di un ritorno a Keynes, inteso
come primato dell’occupazione, della redistribuzione e del governo pubblico
dell’economia?
La sentenza non spetta ai posteri,
ma a noi.
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