domenica 4 dicembre 2011

Se Roma è il sintomo, Berlino è la malattia. Unica cura l’Europa


Un governo ottuso di conservatori regge la Germania, la Francia è sotto ricatto, l’Italia vive la peggiore notte politica della sua storia repubblicana.
Gli Stati Uniti non hanno la forza di esercitare alcuna funzione egemonica sul vecchio continente. La crisi globale non poteva innestarsi su un quadro peggiore.
Appare infatti evidente che uno dei fattori che maggiormente incide sull’incapacità di costruire nuove regole e nuovi equilibri nelle dinamiche della finanza e degli scambi mondiali, e quindi di indicare una via di uscita duratura dall’attuale fase di instabilità, sia l’assenza politica della maggiore area economica del pianeta, l’Europa.
Dall’Europa non si può prescindere, l’Europa non esiste. Non solo e molto peggio. L’Europa è oggi seriamente a rischio anche come unità economica, per incapacità, debolezza  o assenza di volontà dei suoi maggiori aderenti.
E’ opinione diffusa che l’epicentro del problema sia l’Italia, con il suo impronunciabile debito pubblico e, fino a ieri, la sfacciata inconsistenza della sua leadership politica.
Non è così.
L’epicentro del problema è ed è sempre stato la Germania e la totale assenza di visione del gruppo dirigente conservatore al potere.
L’Italia è debole , presta il fianco alla pressione finanziaria di chi scommette sulla fine dell’Euro, è stata trascinata in un limbo periferico, ma continua ad essere troppo grande per fallire in solitudine. Ma è la Germania, in una UE dalla governance bloccata, ad avere la responsabilità delle scelte sul futuro, e in questo momento è prigioniera di un’ideologia che mischia nazionalismo passivo e liberismo.
Non si può infatti definire in altro modo l’atteggiamento di chi, pur sapendo che nessun paese può reggere nemmeno a breve termine la crescita esponenziale dei tassi di interesse, in assenza di interventi massicci della propria banca centrale, insiste nel mantenere la BCE incollata al proprio ruolo di bastione del rigore e del monetarismo.
Lasciando balenare l’idea che forse la stretta si potrebbe un po’ allentare, ma solo a patto di sacrifici umani, di misure che, pur se recessive, indichino la disponibilità alla contrizione morale.
Il momento è eccezionale, ma viene affrontato da Berlino come se il liberismo non avesse già dimostrato la propria fatale vocazione alla crisi e la propria assoluta incapacità di governarla, e come se i paesi del Mediterraneo altro non fossero che uno dei tanti Sud del mondo, cui far ingoiare il veleno dei piani di ristrutturazione.
C’è un cupio dissolvi in questo approccio da parte di un paese che ha avuto e ha nell’Unione Europea il proprio primo mercato commerciale e finanziario, nonché un’indiscussa funzione di guida potenziale.
Il crollo dell’Eurozona sarebbe certo fatale per Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Francia, ma non lascerebbe la Germania sovrana sulle macerie di un continente. Ne sarebbe piuttosto sepolta, chiusa nelle proprie anguste dimensioni di piccola potenza nazionale in un mondo che richiede ben altre dimensioni.
La destra europea sta distruggendo le radici sociali e culturali dell’integrazione continentale. E’ un gioco molto pericoloso e intrinsecamente populista, anche quando veste i panni modesti di Angela Merkel o dei suoi commissari mediterranei. Perché nasconde i problemi, fingendo che esistano soluzioni nazionali a problemi che sono iscritti nello statuto della BCE, nell’assenza di politica europea, nei parametri di Maastricht, nell’ossessione per la deflazione, che prescinde da ogni considerazione di politica economica.
Non c’è soluzione della crisi, se non si saprà uscire rapidamente e con forza dai confini degli stati nazionali e dei residui ideologici del neo-liberismo.
La destra è impossibilitata a farlo.
La sinistra saprà costruire rapidamente un proprio profilo non solo europeista, ma europeo, che sappia indicare la via degli Stati Uniti d’Europa e di un ritorno a Keynes, inteso come primato dell’occupazione, della redistribuzione e del governo pubblico dell’economia?
La sentenza non spetta ai posteri, ma a noi.

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