martedì 25 ottobre 2011

Un Governo, meglio prima che poi

Scriveva domenica Eugenio Scalfari che Vendola e Casini dovrebbero accettare la scommessa di una legislatura che sia insieme di decantazione e costituente, che permetta di smaltire le tossine del berlusconismo e quindi di disegnare un nuovo bipolarismo, per poi sfidarsi successivamente nelle urne.
Scriveva questo invocando il ricordo di Moro e dell’unità nazionale, affidando alle parole dello statista democristiano il richiamo ad un’etica superiore della politica, che sabbia andare oltre le divisioni quando sia in gioco la salute della democrazia.
Tutto molto bello, e sintomatico di un’Italia incapace di ammettere l’esistenza del berlusconismo se non in termini di ordine pubblico e in perenne ricerca di ispirazione nel passato.
Si finge così perennemente di ignorare che Berlusconi esiste e gode tuttora di una dote di consenso sufficiente a mantenerlo nel ruolo di protagonista della destra italiana, seppure probabilmente al prezzo di condizionarne le possibilità di successo elettorale.
In Italia non esiste una destra normale cancellata dall’anomalia berlusconiana.
Esiste una destra incredibile nel suo florilegio di leghismi, nazionalismi d’accatto, soggiacenze clericali, vezzi anti-religiosi, opportunismi, nostalgie, impastati e tenuti insieme da dosi micidiali di cinismo, compiacenze e complicità. 
Di questa destra Berlusconi è stato insieme forgia e interprete, le ha dato mezzi e missione, se ne è fatto non leader ma sovrano, e come tale lascerà un regno alla sua morte.
L’idea che la sconfitta di Berlusconi ne determinerà l’uscita di scena e consentirà ad un nuovo raggruppamento moderato e presentabile di raccoglierne senza fatica l’eredità elettorale appare pertanto lunare, con buona pace di Casini, la cui unica, reale chance di sopravvivenza politica appare legata al mantenimento dell’attuale legge elettorale, o meglio ad una sua riforma in senso ulteriormente proporzionale. 
Lo sa bene la Chiesa cattolica, che pur sfibrata moralmente dal berlusconismo, non ritiene praticabile nel quadro dato alcun
 significativo investimento su un’alternativa, che viene preparata e congelata per tempi migliori.
Né tiene il paragone forzato con la stagione del compromesso storico. Vendola e Casini sono leader di due formazioni di media grandezza dal profilo fortemente connotato, e non di due partiti di massa presenti in ogni ambito della società. 
Possono orientare e ambire a guidare una coalizione, ma non pensare con la loro sola presenza di rappresentare l’intero corpo sociale del paese. 
Ma soprattutto il coma irreversibile della seconda Repubblica non ha nulla a che vedere con le convulsioni che sul finire egli anni ’70 già scuotevano implacabili la prima, né la crisi economica attuale può essere paragonata a quella generata nello shock petrolifero. 
Sono diverse le prospettive e le dinamiche sociali. 
Sotto molti aspetti lo stato odierno delle cose è il conto che paghiamo alle scelte di allora, prima fra tutte quelle di combattere con il neo-liberismo l’esaurimento del dinamismo keynesiano.
Ecco quindi che non ci libereremo del berlusconismo affidando alla sinistra il ruolo di levatrice di una inconsistente destra moderna e liberale. 
Ce ne libereremo se la sinistra saprà con forza proporre e praticare la strada vera di un’alternativa, lasciando che la destra consumi nel conflitto politico le proprie contraddizioni, salvando il bipolarismo e con esso la possibilità di un confronto aperto sul futuro con il popolo italiano.
Di questo, e solo di questo, abbiamo bisogno, perché la seconda Repubblica è morta senza mai essersi liberata dell’ingombro della prima, e la danza macabra si consuma sulla scena di una crisi economica aperta ad ogni esito. Decisamente non è una costituente che ci serve, ma un Governo. 
In nome del popolo sovrano. 

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