domenica 12 febbraio 2012

A proposito di riforme elettorali (diciamo che è uno sfogo)


Ci risiamo. 
Il sistema politico italiano, per molte ragioni complesse e quindi discutibili, torna al punto 0 della credibilità e immediatamente i principali attori del dramma individuano i responsabili.
Non loro stessi naturalmente, che con una dote impressionante di risorse, relazioni, visibilità, potere non hanno saputo fare nulla di meglio che ingombrare le istituzioni di comparse, lestofanti, opportunisti, faccendieri, yes-men senza altra arte nè parte che una fedeltà tanto incondizionata da rasentare spesso la complicità. 
Non loro stessi, che hanno reso impronunciabile la parola partito, tramutata in sinonimo di conventicola, caravanserraglio, casa chiusa o postribolo persino, gelatina opaca dove tutto si tiene e nulla entra. 
Non loro stessi, protagonisti assoluti di una stagione politica che resterà nella storia per non aver prodotto nulla se non la saga di un omuncolo sopravvissuto ad una Prima Repubblica già in disfacimento. 
Non loro stessi, ma i piccoli partiti di ieri, di oggi e di domani. 
Tanto piccoli per la verità da rappresentare insieme più della metà del paese, che si vorrebbe esclusa dal diritto di scegliere un qualsiasi rappresentante diverso dal florilegio di meraviglie che ci è stato offerto finora.
Dicono che si deve salvaguardare il diritto dei grandi a governare senza ricatti, facendo finta di ignorare che, a ben guardare, i ricatti si sono sempre intrufolati nelle loro stanze, quando invece i cosiddetti piccoli, con torto o con ragione, hanno provato a far valere le ragioni di una differenza politica.
Hanno passato vent’anni a costruire contenitori privi di identità, posticci, tenuti insieme con la colla scadente dell’interesse personale e di gruppo, sempre in nome della quantità che per incanto dovrebbe farsi qualità.
Il risultato è un parlamento pieno di personaggi che hanno cambiato campo più spesso e velocemente di una pallina da ping pong.
Ora minacciano di colpire due volte la rappresentanza, introducendo soglie di sbarramento implicite ed esplicite, e riducendo il numero dei parlamentari, costruendo in questo modo un mostruoso concentrato di potere, a uso e consumo di pochi, lasciando ai molti la possibilità di applaudire per incoscienza il taglio della democrazia.
Che, è bene ricordarlo, è e rimane indissolubilmente legata all’ampiezza della rappresentanza e quindi alla fatica della mediazione politica, senza la quale rimane solo l’arbitrio e l’arroganza di chi ritiene il Parlamento la semplice, statica e ossessiva rappresentazione di un plebiscito quinquennale.
Che l’attuale classe dirigente abbia fallito è un dato di fatto incontrovertibile. 
Che voglia utilizzare il poco tempo che le rimane per perpetuare se stessa, dopo aver già consegnato ad altre mani il governo del paese, cavalcando pulsioni antidemocratiche che essa stessa ha determinato, questo sembrerebbe veramente troppo.
Si abbia invece il coraggio di restituire al più presto al popolo italiano il diritto di scegliersi nella massima libertà parlamento e quindi governo. 
Magari, chi ha occupato la scena del ventennio perduto, usando la cortesia di togliere il disturbo.

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