martedì 7 agosto 2012

Fra proverbi e realtà


Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, recita la saggezza popolare, come a dire che in un mondo di cattive compagne si starebbe meglio soli.
Beppe Grillo l’ha capito tanto bene da farne l’unica, reale linea politica del suo movimento.
Soli contro tutti, dato che gli altri sono per definizione compromessi, laidi, incapaci e certo, forse, un po’ mafiosi.
Il più pulito c’ha la rogna, per restare all’antico.
Ognuno per se e Dio per tutti, e già che c’è ci guardi anche dagli amici, e così il primo che s’azzardi a mettere il naso fuori, a suggerire che, certo, le alleanze si fanno sempre e solo con gli elettori, ma si potrebbe anche provare a smettere di credere che la ragione cessai sull’uscio della propria casa, e quindi proporre una coalizione, quel qualcuno appunto sarà fulminato.
Incoerente, venduto, traditore, poltronaro, con la variante di chi l’aveva sempre saputo e di chi ha subito la peggiore delusione della propria vita, che in questo caso si presume giovane.
Tutto questo in assenza di qualunque considerazione del contesto, della storia e dell’attualità.
Il contesto è quello, pesantissimo, di un paese a rischio di perdere ciò che resta di una sovranità traballante, con un sistema politico a brandelli, uno stato di viscerale frattura del vincolo di rappresentanza, un crollo verticale della propria capacità economica, in un quadro di finanza pubblica preoccupante.
La storia è quella di un partito, SEL, nato dalla scommessa di poter portare in un ambito di governo le culture politiche della sinistra e dell’ambientalismo, altrimenti confinate per propria scelta nella ridotta del massimalismo e dell’ideologia.
L’attualità è quella inattesa di un governo “tecnico”, nato con l’ambizione di riscrivere a propria somiglianza un sistema politico in decomposizione, e ridotto a fallimentare amministratore straordinario dello Stato, sorretto dai voti del PD, e avversato da tutte le altre forze della sinistra politica e sociale.
Resta da ricordare che il voto del 2008 ha consegnato alla destra e a Berlusconi il governo fino al 2013, e non ad altri, e che quindi, per amor di verità, le politiche di Monti andrebbero raffrontate a quello che farebbero loro, e non a ciò che faremmo noi.
E che quindi, proprio in considerazione di contesto, storia e attualità, dovremmo imparare, per una volta e non di più, dagli americani a girare lo sguardo, e a giudicare non cos’abbia fatto chi detiene il potere, ma cosa farà chi si candida a detenerlo.
Certo, ci vuole coraggio nell’Italia del 2012 ad abbandonare la cultura del sospetto, che ci induce a chiedere all’altro dove fosse ieri, anzichè dove insieme potremmo essere domani.
Ma è proprio su questo, sull’immaginare un futuro politico con il M5S, che per quanto mi riguarda si consuma una frattura irrimediabile con Di Pietro.
Il suo domani, semplicemente, è molto diverso dal mio.
Quello che so invece è che domani vorrei essere al fianco di Hollande a rimettere in discussione il futuro dell’Europa, perchè la Francia altrimenti morirà di solitudine, e vorrei restituire al mio paese il ruolo di potenza, mi si scusi il termine, produttiva, anzichè di triste pascolo per le cavallette della rendita, e vorrei riparlare di welfare state come motore della crescita, anzichè come voce di bilancio da tagliare.
Vorrei parlare di patrimoniale e di reddito minimo, e restituire a chi è andato l’opportunità di tornare, anzichè veder partire in massa i migranti che fino a qui ci hanno accompagnato.
Ho pensato di poterlo fare col PD, nonostante oggi sostenga Monti e ieri abbia sostenuto anche di peggio, e confesso di aver pensato che quando si tratterà di ridiscutere il fiscal compact persino l’UDC potrebbe essere interessata, in nome di quella brutta cosa che si chiama interesse nazionale.
In fondo, dalla crisi, come da ogni prodotto umano, si può uscire, ma stavolta solo da sinistra, come ci dimostra il tentativo opposto di Monti.
Bisogna tuttavia provarci, a partire dalla considerazione che in mezzo non ci sta nessuna virtù.
Col PD? La speranza è l’ultima a morire.

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