giovedì 19 luglio 2012

La democrazia del PD


Quello andato in scena all’ultima assemblea nazionale del PD non è stato un bello spettacolo, nè per il partito che se ne è reso protagonista, nè per l’intero centrosinistra, qualsiasi cosa questo oggi significhi.
C’è una questione di merito, ovvero la possibilità che una vittoria delle forze progressiste porti finalmente i diritti delle persone, e quindi la possibilità di veder riconosciuto fino in fondo il principio di uguaglianza, indipendentemente dall’orientamento sessuale e dalle preferenze religiose, al livello ordinario dei paesi occidentali.
E c’è una questione di metodo e di concezione della politica e della democrazia, dato che si è sancito per l’ennesima volta come nel PD sia letteralmente impossibile votare su documenti e proposte prive dell’imprimatur unanime di organismi dirigenti ristretti.
Davanti a questo fatto nulla conta quanto sia avanzata e coraggiosa la proposta della segreteria o dei suoi derivati, poco o niente in questo caso, perchè si afferma d’autorità l’impossibilità di giudicarla o di verificarne il livello effettivo di consenso.
Si dirà che il funzionamento di un partito riguarda i suoi iscritti, e che comunque il dibattito nel PD è libero e aperto come in nessun’altra organizzazione politica italiana.
Non credo siano vere l’una e l’altra affermazioni.
Nel momento infatti in cui si ipotizza un’alleanza di centrosinistra, di cui il PD sarebbe evidentemente il perno, le sue modalità di costruzione della decisione politica diventano anche un mio problema, perchè è con quelle modalità che domani dovrò interloquire.
Quanto alla libertà del dibattito, questa non è mai tale fino in fondo, e forse nemmeno dal principio, se vincolata dall’esito obbligato del consensus delle oligarchie.
Nel PD forse si discute moltissimo, nel senso che ognuno fra gli aventi parola è libero di spargerla a piene mani e pubblicamente, ma si decide poi insieme in un lavoro attentissimo di calibratura meticolosa delle differenze, necessariamente blindato e intoccabile.
Questo sistema produce sistematicamente difficoltà enormi nei rapporti con ogni ipotetico alleato, poichè ogni accordo preso a livello di coalizione rischia di rimettere in discussione l’accordo preventivo fra i dominus democratici.
Accordo scaccia accordo, con il caos come risultato.
Di qui la passione per un’alleanza “equilibrata”, dove al PD si associno altre forze reciprocamente antagoniste e di pari forza, che garantiscano, elidendosi a vicenda, l’identità perfetta fra equilibri interni e di coalizione.
SEL e UDC, per fare un esempio non a caso.
Bene, io chiamo questa cosa antipolitica.
Non perchè ritenga necessariamente impossibile costruire un progetto per il paese che comprenda anche molte contraddizioni, ma perchè credo che queste vadano sciolte, non assunte come strumento al servizio di una perenne mediazione fra oligarchie.
Perchè sono convinto che l’Italia, questa Italia, abbia bisogno di essere interpretata e rappresentata, non messa sotto tutela da un ceto separato.
Perchè, infine, il peggior danno che i partiti possono fare in questo momento alla democrazia è negare la democrazia al proprio interno, alludendo all’idea che il voto sia l’anticamera del male, la rottura dell’armonia naturale, quasi un’irruzione aliena.
Infatti, così addestrati, vanno avanti a votare a colpi di fiducia provvedimenti a cui poi, la notte, si sognano contrari.

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