domenica 4 novembre 2012

L'inutile dibattito su Blair


La cosa stravagante non è che nel 2012 il centrosinistra italiano si divida su Tony Blair, ma che ne discuta.
Se infatti sul personaggio la storia avrà modo di dire la sua, probabilmente senza particolare benevolenza, non può esserci invece alcun dubbio sulla sua totale estraneità alle sfide del tempo presente.
Blair ha strappato la Gran Bretagna ai tories post-tatcheriani, sulla base dell'intuizione che il pensiero liberista fosse ormai tanto egemone nella società anglosassone da non poter essere discusso, ma tuttalpiù addolcito, reso cool da una nuova generazione di dirigenti laburisti cresciuti fuori dalle macerie delle sconfitte degli anni '70 e '80.
Non ha cambiato direzione, ma ha provato a rendere più confortevole il tragitto, e forse a renderlo possibile per qualcuno in più.
Peccato che la direzione fosse la crisi odierna, sulla quale la terza via e il new labour, tornato non a caso piuttosto old stile, ammutoliscono, perché rappresenta esattamente la negazione  di tutta l'impalcatura ideologica delle sinistre di governo anni '90.
Il punto quindi non è e non può essere il posto di Blair nell'album di famiglia, dove pure dovrebbe stare dalla parte dei parenti di cui ci si vergogna un po', come conviene a uno che ha portato il proprio popolo in una guerra inutile sulla base di consapevoli menzogne.
Il punto è se si possa anche solo immaginare di uscire dalla crisi attraverso ricette economiche e sociali che hanno contribuito a portarci nella situazione attuale, e di cui Blair fu convinto sostenitore.
Naturalmente no, e infatti in tutta Europa e nel mondo la sinistra parla d'altro. 
Parla, sostanzialmente, la lingua di Vendola.
Se in Italia non è così, e si pensa di andare avanti per suggestioni, ammiccamenti e importazione di modelli scaduti, decisamente abbiamo un problema.
A proposito. Abbiamo già avuto un blairiano di ferro, peraltro in tempo utile. 
Era il rottamando Massimo D'Alema. 
Dio li fa e poi li divide.

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