venerdì 18 maggio 2012

In Italia tutto bene. E in Grecia?


In Italia tutto bene. 
Il Parlamento gioca a ruba bandiera, con la maggioranza chi fa, si disfa e si rifà, senza riuscire a dare un senso diverso dalla straniamento.
Si riaprono tombe di storie passate, mentre fantasmi mai sepolti tornano ad aggirarsi inseguendo se stessi.
Vecchie fole si dissolvono nelle nebbie padane, subito rimpiazzate da nuove storie dalla trama incerta, ma dotate del fascino del nuovo incorrotto.
Siamo talmente abituati ad aggirarci con lo sguardo incollato alla nuca del qui e dell’ora da  ignorare che intanto ad un braccio di mare di distanza si sta giocando una partita che dovrebbe riempire le nostre parole e pensieri quotidiani.
La Grecia è messa spalle al muro da chi le chiede di scegliere fra Europa e democrazia, e nulla le vale aver dato il nome ad entrambe.
Può votare l’uscita dall’euro, dichiarando ufficialmente la propria morte economica con alcuni mesi di ritardo sull’evento, o rimanere nello stato di coma assistito in cui è stata precipitata.
Le cose stanno esattamente in questi termini, ed è quindi probabile che sceglierà la prima ipotesi, provando almeno a salvare l’idea di poter decidere del proprio futuro, senza delegare a Berlino, Francoforte o Bruxelles.
Salvare un’idea d’altronde non è poco, e potrebbe essere un regalo immeritato per l’intera Europa, che continua a chiudersi nell’anatema dell’irresponsabilità ellenica, della giusta punizione, dell’esempio esemplare per chi rifiuti il rigore di conti fuori controllo.
Ciò che invece non è comprensibile è il senso di silenziosa fatalità con cui il resto del continente continua a marciare verso il baratro, fingendo di ignorare le conseguenze devastanti che la sottrazione della piccola pietra greca avrebbe sull’intero edificio comunitario.
E soprattutto non si capisce la posizione di un paese come l’Italia, che con la Spagna si candida a chiudere immediatamente il trittico mediterraneo, un minuto dopo il default greco.
Pensiamo veramente che ci salverà aver fatto la nostra professione di fede nel dogma liberista, assestando un paio di bastonate ben assestate a lavoratori e pensionati?
Il momento della responsabilità è ora, non per la Grecia, ma per l’Europa, che rischia di ripetere il fatale errore di Bush con Lehmann Brothers, ovvero ignorare l’effetto che la finanza vera, quella derivata, ha su ogni effetto del libero mercato, con la doppia aggravante di averne conoscenza e di voler trattare come neutrale scelta economica quella che è a tutti gli effetti una decisione politica cruciale.
Si vuole impegnare la parola solidarietà, e quindi affermare in positivo il comune destino dei popoli europei, o si preferisce incrociare le dita, e fissare la mappa europea con lo stesso sguardo dei 12 dell’Enola Gay davanti all’apertura di un cilindro metallico?
Io vorrei semplicemente che di questo discutesse in seduta permanente il parlamento della mia nazione, e vorrei che lo stesso facessimo nei bar e nei luoghi di lavoro. Persino nelle sedi dei partiti.
Almeno per essere pronti, per partecipare di un momento che potrà essere ricordato come storico oltre le intenzioni di chi lo propizia con la razionalità di uno sciamano del neolitico.
Per evitare che la misura della connessione con l’attualità europea siano le file improvvise davanti ai bancomat.

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