domenica 27 maggio 2012

Fare presto


C’era una volta Berlusconi, il PDL, il PD a vocazione maggioritaria, la sinistra a vocazione suicida, la Lega di lotta contro i deboli e governo con i forti, il centro perchè comunque non possiamo farne a meno, che non si sa mai.
C’era un paese di cui si vaticinava l’onda lunga dell’egemonia di destra, la scomparsa delle culture critiche, la sana laicità del Papa, la modernità antica di Marchionne.
C’era il capitalismo predatorio e relazionale, il ciclo del mattone, le grandi opere come volano insostituibile di sviluppo, la competitività fondata sul costo del lavoro, le grandi banche sempre più grandi e le imprese sempre più piccole.
C’era un paese impoverito, che più di ogni altra cosa odiava ammettere la propria proprietà, e la paura, una grande paura di ogni cambiamento e del volto del diverso.
C’era un grande castello di giunchi, che il vento della crisi ha spazzato in lungo e in largo, senza trovare argini e ripari, lasciandoci infine soli con i nostri timori e rancori.
Ora siamo qui, a veder scorrazzare populismi coltivati con cura nei vasi lasciati liberi dalla ritirata della politica, mentre i fondamenti economici del vecchio mondo vacillano e si consumano senza lasciare alcuno spazio al nuovo, alla sua drammatica urgenza e alla difficoltà persino di pensarlo, dopo decenni di pensiero unico.
Eppure si deve fare presto, perchè come accade all’apice di ogni crisi si ha un solo colpo a disposizione per indirizzarne l’esito. Se lo si fallisce, si rischia di essere fuori gioco per un tempo lungo, perchè cambiano lo scenario, le prospettive, la strutturazione delle dinamiche sociali.
Semplificando, si tratta di capire che destino avrà l’Europa, e quindi l’Italia.
Un’ipotesi è che sappia rilanciarsi come destino comune dei popoli del continente, recuperando insieme la propensione ad un federalismo che superi gli stati nazionali e ad un rinnovato welfare che sappia sconfiggere la piaga della disoccupazione e di inuguaglianze vicine alla soglia di insostenibilità.
Un’altra è che esploda, restituendo a ciascuno il diritto di raccogliere i cocci devastanti di un fallimento, nell’illusione che ci sia qualcuno in grado di assorbire meglio l’urto della tempesta finanziaria.
Sulla prima ipotesi sembra essere il socialismo di lingua francese, sulla seconda, più o meno consapevolmente, l’intera Germania, dopo il recente pronunciamento anti eurobond di SPD e Grunen.
Ma Hollande non ha sponde, in un’Europa ancora egemonizzata nei suoi punti chiave dalla destra, al di la di timide aperture dettate dall’interesse nazionale di Italia e Spagna.
Per questo la sinistra italiana deve essere rapida nel movimento e chiara negli intendimenti, perchè si tratta di tornare ad esercitare un ruolo politico in Europa orientato al cambiamento.
In altre parole, si tratta di vincere le elezioni, di farlo al più presto e con un programma e un’identità nitidi, che non si perdano in dettagli comunque allo stato attuale non determinabili, ma che sappiano lanciare al paese alcuni messaggi inequivoci.
Che non c’è alcuna soluzione nazionale, e che quindi si tratta di esercitare una volta per tutte un’opzione di integrazione continentale, sul modello degli Stati Uniti d’Europa, con l’obiettivo di uguali standard nei diritti sociali, civili e nel welfare.
Che nessuno può essere lasciato indietro, e che quindi si punterà ad un mix di piani per l’occupazione e reddito di cittadinanza, finanziati gli uni e l’altro con una forte imposizione sui patrimoni, che alleggerisca al contempo il prelievo fiscale su redditi e investimenti.
Che il paese ha un bisogno vitale di cambiamento, ma che per ottenerlo deve liberarsi delle scorie della paura e del rancore, deve fare lo sforzo immane di un’ultima apertura di credito alla politica, scommettere sulla democrazia e sulla partecipazione, ricevendone in cambio un sostanziale, robusto passo indietro dell’attuale ceto dirigente dei partiti.
Si tratta di salvare il nostro futuro, di poterne di nuovo pronunciare il nome con accenti di speranza.
Può farlo solo la sinistra. Ma il tempo è prossimo a scadere.

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