domenica 20 maggio 2012

Nel giorno del dolore per una morte assurda


Si rimane attoniti davanti all’assassinio deliberato di una ragazza di 16 anni davanti alla porta della sua scuola. 
Si interrompe anche il flusso del ragionamento, se si pensa a quale sarebbe potuta essere la dimensione della strage causata da una bomba programmata per esplodere in quel luogo alle 07.45.
Si reagisce d’istinto, se ne parla, se ne parla, se ne parla, e poi si scende in piazza, come sempre accade all’umanità ferita.
E si cercano cause, moventi, scopi razionali, che almeno neghino l’irrompere dell’assurdo in una realtà già martoriata.
Ognuno esplora il proprio immaginario, la propria personale memoria della storia di questo paese, la propria geografia del male.
Si pensa alla mafia, perchè siamo a sud, perchè la scuola è intitolata a Morvillo Falcone, perchè arriva la carovana della legalità, perchè è la mafia che uccide in Italia.
Non è solo la mafia che uccide in Italia, ma anche il terrorismo, e torna alla mente la tragica litania delle stragi senza verità. Piazza Fontana, Brescia, Italicus, stazione di Bologna. 
E allora pensi che è proprio quello che manca, la verità, la possibilità di un dolore condiviso, in un paese che sembra ancora fermo a Pasolini, al suo Io so del 1974, se quarant’anni dopo lui è morto assassinato e noi continuiamo a non sapere, o a sapere alla sua maniera, per intuizione, per frammenti, per desiderio di trovare almeno una ragione.
Così ancora una volta tornano a circolare i fantasmi, la strage di stato, la strategia della tensione, il caos contro il cambiamento.
E tu pensi ad una ragazza di 16 anni morta davanti alla porta della sua scuola, leggi alcuni commenti, le insinuazioni da teoria del complotto, le chiamate alle armi contro il nemico nascosto, le cupole nere, e ti sale la rabbia, perchè sembra che per qualcuno non fosse nell’aria la bomba, ma il desiderio che esplodesse, per chiudere il cerchio della paranoia.
Ma poi ti torna alla mente la storia d’Italia, e scopri che anche tu ne sei prigioniero, perchè nessun tribunale ha mai saputo darti moventi, mandanti, esecutori, non ti è dato nemmeno di sapere cosa si scrivessero negli anni di piombo gli apparati dello stato, perchè in Italia il segreto di Stato è duro a morire. 
Vorresti dire attendiamo le indagini, ma poi ti scopri a sorridere di te stesso, pensando a quante indagini, quanti processi, quante teorie, quante prescrizioni e assoluzioni per mancanza di prove, quante sentenze scritte e poi cancellate.
Mille pugnalate alla memoria collettiva, che infatti è lacerata, sempre più fatta di brandelli tenuti insieme da fili consumati, divisa fra generazioni, classi sociali, luoghi della politica e della geografia, sotto uno strato sottile di quotidiana rimozione.
Allora ti addormenti, pensando che forse è proprio questo il punto. Quella bomba è un’altra scossa ad un paese che è già un’unità precaria di frammenti, unisce nel dolore ma divide nella rabbia. E a quel punto chi l’abbia collocata non conta più nulla.

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