domenica 9 settembre 2012

L'Europa, l'agenda Monti e il centrosinistra


Scalfari nel suo domenicale su Repubblica esprime apertis verbis un consiglio funereo alla sinistra italiana.
Chiedere rapidamente gli aiuti europei, così da commissariare il paese e rendere l’agibilità democratica del futuro governo paragonabile a quella di chi debba scegliere se condire la pasta al sugo con menta o prezzemolo.
Questo accade nello stesso giorno in cui il Corriere della Sera cuce e ricuce un sondaggio sul futuro della politica nazionale per annunciare che quattro italiani su dieci sarebbero favorevoli alla riproposizione di un governo tecnico.
Casini a Chianciano ripropone naturalmente la stanca litania del Monti dopo Monti, e possiamo scommettere che questo rilancerà il dibattito sul futuro politico del Professore.
Tutto questo non è naturalmente un complotto, ma semplicemente il progressivo concretizzarsi di un progetto politico, che spinge a focalizzare il dibattito politico italiano, e di conseguenza gli schieramenti elettorali, lungo la direttrice del giudizio sull’Europa, intesa non come spazio politico aperto al cambiamento, ma come rigida costituzione materiale del rigore neo-liberale.
Da questa impostazione il centro-sinistra deve avere la forza di stare molto lontano, perchè sarebbe la sua fine e la fine di ogni possibile ambizione alla trasformazione del paese.
Ci sono, è vero, alcuni elementi certi.
Il primo è che l’Italia, come l’Europa, sia attraversata da pulsioni neo-nazionaliste, interpretate per lo più a destra, ma non di rado a sinistra, capaci di raggiungere importanti risultati elettorali, individuando i responsabili della crisi sociale, economica e politica nelle tecnocrazie di Bruxelles e Francoforte.
Ne sono esempio in Italia il M5S e la Lega, accomunati tra l’altro dalla richiesta di un referendum sulla moneta unica, così come a sinistra chi chiede la denuncia unilaterale del fiscal compact.
Il secondo è che la vittoria di Mario Draghi nell’imporre la possibilità di acquisto illimitato di titoli di Stato da parte della BCE, senza che questa sia considerata un creditore privilegiato, pur in un contorno di condizioni molto rigide, cambia significativamente il quadro europeo e, se possibile, costringe anche ad un giudizio più fluido sul governo Monti.
Se infatti fino a ieri non era possibile trarre alcun bilancio positivo delle politiche recessive dell’esecutivo dei tecnici, mentre erano sotto gli occhi di tutti l’aumento della disoccupazione e delle ineguaglianze sociali, il via libera della Germania ad un’interpretazione sempre osteggiata dei poteri della BCE è un risultato oggettivo che permette di guardare con maggior serenità al futuro continentale.
E’ tuttavia necessario evitare di trarre da queste due considerazioni l’idea che l’agenda Monti sia quindi l’unica strada possibile per gli europeisti italiani, dato che chi vi si oppone punta le proprie carte sul ritorno alla piena e assoluta sovranità nazionale, traendone la conseguenza ultima che gli europeisti debbano convergere fra loro adottando l’agenda Monti come programma elettorale e di governo, come appunto suggerito da Scalfari e dal Corriere, ma anche da D’Alema e parti importanti del PD, che traducono questa formula nell’alleanza PD-SEL-UDC.
Tornare alla politica significa invece avere il coraggio di affermare che il governo Monti ha rappresentato una proposta autenticamente europeista di uscita dalla crisi, ma una risposta di destra, e che quindi deve e può esistere una risposta di sinistra altrettanto franca e leale sul tema della continuità dell’esperienza della UE.
Cosa sarebbe d’altronde l’agenda Hollande se non questo?
E quale dovrebbe essere il primo compito della sinistra italiana che guarda all’Europa, se non quello di liberare dalla solitudine la Francia socialista?
L’Italia, nonostante la crisi economica e di identità in cui si dibatte, nonostante vent’anni di ostinate politiche volte a collocarla nella semi-periferia del mondo, non è un paese secondario nella UE. 
E’ il terzo contribuente al bilancio comunitario, la seconda economia manifatturiera, il quarto paese per numero di abitanti.
Questo ha determinato una forte esposizione all’urto della speculazione finanziaria, ma ci impone anche la responsabilità di affrontare le prossime elezioni pensando a quale ruolo assumere da protagonisti, e non da paese destinato ad un eterno commissariamento.
Essere europeisti significa esattamente questo. 
Abbandonare ogni ambiguità sulla volontà di fare ogni sforzo per mantenere la stabilità del continente e della moneta unica, ma allo stesso tempo essere consapevoli che la direzione da prendere è quella del rilancio dei veri pilastri della civiltà europea, l’aspirazione a solidarietà ed uguaglianza e quindi il welfare state.
Su questo l’agenda Monti non può avere nulla da dirci, ma su questo si giocherà il futuro della sinistra italiana e continentale.
Sarà bene averlo presente nei prossimi mesi.

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