domenica 16 settembre 2012

Renzi, Favia e il liberismo antropologico


Nell’ultima settimana ci siamo baloccati con due non-notizie, la candidatura di Renzi alle primarie del centrosinistra e il gioco di ruolo all’interno del M5S.
Non-notizie perchè ampiamente annunciata la prima e del tutto prevedibile la seconda.
A tenerle insieme, senza che tuttavia questo abbia avuto alcun tipo di riscontro nei commenti ad alcun livello, l’assoluto disprezzo per le regole della propria comunità che accompagna entrambe le vicende.
Renzi parteciperà a primarie che, da statuto del proprio, non di un altrui, partito, non avrebbero dovuto riguardarlo, e lo fa chiamando dall’esordio al voto l’elettorato di centro-destra, aggiungendo così uno sfregio sostanziale a quello formale già consumato.
Favia, nel ribellarsi con una sceneggiata al duetto Grillo-Casaleggio, per cui potrebbe valere l’immortale slogan riferito alla coppia Craxi-Berlusconi, colpevole di chiudergli la strada ad ogni prosieguo di carriera politica, contesta l’unico, riconosciuto caposaldo del M5S, il fatto che nel movimento Beppe Grillo possieda nulla se non il tutto, ovvero il simbolo elettorale.
Renzi conosceva perfettamente lo statuto del partito a cui ha aderito e che gli ha consentito di diventare sindaco di Firenze, così come Favia era a conoscenza del non-statuto del M5S, a cui deve, stando rigorosamente al suo curriculum, tutto.
Eppure l’ambizione, grande in un caso, molto piccola nell’altro, cancella evidentemente ogni ricordo.
Non può tuttavia impedirci di riflettere su quanto a fondo sia penetrata in ogni angolo della politica italiana la cultura berlusconiana dell’assoluta indifferenza alle regole condivise, del primato della volontà individuale sui limiti collettivi, della costante imposizione del fatto sulla norma, sempre ridotta ad orpello insignificante.
Potendo sempre contare sulla grancassa offerta da un apparato mediatico immediatamente pronto a premiare chi sorpassa in corsia di emergenza, perchè non si può dare torto a chi ha forza e desiderio di correre.
Si tratta di liberismo antropologico, di chi sogna fughe solitarie in avanti senza lacci e lacciuoli, di pallida mimesi del titanismo berlusconiano, che era sorretto da potere reale, mentre qui si rivela solo volontà di impotenza, di narcisismo che sfrutta la debolezza della politica per imporsi sorretto dalle voci dei padroni.
Che si cerchi una cuccia calda o palazzo Chigi poco conta, perchè l’atteggiamento è lo stesso e si rivela di destra nel profondo, volto com’è a disarticolare le regole che, brutte o belle che siano, fanno di una muta una comunità.
Si potrà provare finchè si vuole a convincermi che Renzi è il giovane capace di ribellarsi ad una nomenklatura mummificata, o Favia il rivoluzionario oltre il dispotismo del padre-padrone e del padrino.
Per me resteranno due gocce insapori di ambizione e opportunismo in un bicchiere vuoto.
Detto questo, del grillino pentito non varrà più la pena di parlare.
Renzi lo sconfiggeremo nelle primarie, per la ragione semplice che le idee che propone rottamate lo sono già e non valgono nulla nemmeno come pezzi di ricambio.

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