giovedì 22 marzo 2012

Il gioco è finito


E’ comprensibile che in una fase di drammatizzazione della crisi economica e politica italiana e internazionale il PD, su invito del Presidente della Repubblica, abbia dato il via libera al governo Monti.
Si poteva dar credito alla volontà di evitare un accanimento della speculazione finanziaria sul nostro paese, resa possibile dalla pervicace volontà della destra europea di non concedere margini di manovra alla BCE, mentre si negava da parte della stessa destra qualsiasi intervento risolutivo a favore della Grecia.
Allo stesso tempo il centrosinistra italiano aveva avuto la grave colpa di non costruire per tempo un serio progetto di alleanze e di governo, presentandosi così impreparato all’appuntamento con il crollo di Berlusconi.
In questo quadro è stato facile per Monti condurre una guerra lampo contro il sistema politico della seconda repubblica, e al tempo stesso giocare di sponda con Draghi per permettergli di iniettare per vie improprie liquidità nel sistema, a garanzia della tenuta della finanza pubblica europea, offrendo in cambio la riforma del sistema pensionistico italiano.
Si trattava di conquistare l’oggi per disegnare il domani, rispondere ai dettami della Merkel e contemporaneamente segnare il percorso verso una Terza Repubblica costitutivamente neo-liberale.
Il PD, e primo fra tutti Bersani, non ha capito questo gioco, che vede proprio in quel partito, e quindi nelle prospettive di governo della sinistra italiana l’obiettivo principale, o non ha saputo arginarlo a sufficienza.
Si è invece seduto a tavoli truccati sulla riforma elettorale, dando l’impressione di puntare contro i propri stessi alleati.
Ha permesso che riacquistasse spazio e visibilità la destra interna, ribattezzata montiana per l’occasione, senza difendere adeguatamente chi, come Fassina, altro non faceva che affermare la necessità di allinearsi ai percorsi di tutti i partiti della sinistra europea.
Ha dato l’impressione di farsi guidare da sondaggi fantasma, buoni per propagandare l’idea della disumana popolarità dei tecnici di governo.
Non ha saputo in definitiva uscire dal gioco di ruolo della politica italiana dell’ultimo ventennio, fatto di tatticismi, giravolte, fugaci innamoramenti e demolizione progressiva della democrazia, affogata nella misura oracolare del consenso.
Ora il gioco è finito, perchè si affonda la lama nella carne viva delle relazioni sociali, dei rapporti elementari di potere, della dignità del lavoro e in definitiva della civiltà per come la conosciamo, fatta di diritti e di spazi anche minimi di libertà nei luoghi di lavoro.
Questo significa abolire l’articolo 18 nel pieno della più grave crisi economica del dopoguerra, quando i rapporti di forza sono già sbilanciati oltre misura a favore del capitale, per chiamarlo come va chiamato.
Lo si fa peraltro nel peggiore di modi, con l’arroganza di chi non ha, nè vuole legittimazione popolare, perchè ritiene di avere già l’unica investitura che conta, quella dei mercati, delle accademie ammuffite, di una classe cosiddetta dirigente, ma che resta solo razza padrona e pure invecchiata male, con lo sguardo sempre rivolto all’indietro, incapace di cogliere il benchè minimo vento di cambiamento.
Ora, il PD è già morto, indipendentemente dai desideri di chi lo guida, abita o frequenta, perchè le modalità con cui è maturata la cosiddetta riforma del mercato del lavoro hanno solo ed esclusivamente questo scopo.
Il suo gruppo dirigente può scegliere di ignorare questo fatto ed esibirsi in funambolismi per tenere assieme i cocci di un progetto politico esaurito.
Oppure scommettere su quella maggioranza di italiani che nell’ultimo anno, dicasi 12 mesi, ha dimostrato di voler spendere il proprio voto e le proprie energie in un progetto di cambiamento, sul vento nuovo che ispira il socialismo europeo, sulla necessità evidente di ripensare un modello economico e sociale letteralmente catastrofico, e negare decisamente la fiducia al governo, portando il paese al voto.
Se lo farà subirà una scissione, dovrà affrontare una difficile campagna elettorale e rimettersi complessivamente in gioco, ma non cadrà, perchè anche se la politica sembra non essersene accorta l’Italia è cambiata.
E comunque avrà lasciato al popolo italiano la scelta su come usare la corda della storia.

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