lunedì 16 aprile 2012

Antipolitica


Dicono che quel bell’uomo un po’ abbronzato che siede alla Casa Bianca non amasse particolarmente il governo Berlusconi.
Dicono anche che quando quest’ultimo ha tolto il disturbo, sostituito da un signore mai eletto, nominato il giorno prima senatore a vita, sostenuto da una maggioranza del tutto diversa da quella uscita dalle urne, senza chiarezza nè sul mandato politico, nè sul tempo a disposizione, l’amministrazione americana sia stata più perplessa che soddisfatta.
La perplessità derivava dal semplice fatto che a quanto pare gli statunitensi continuino a considerare la democrazia una cosa seria e positiva, anche se non per tutti, e che faticassero a coglierne i segni nelle ultime dinamiche della politica italiana.
A questo si potrebbe aggiungere che abdicare ad un governo tanto feroce quanto inefficace nel suo rigore ideologico, consegnarli le chiavi di scelte decisive in una fase delicatissima e chiamarsi fuori, a dipanare la tela di Penelope delle riforme elettorali e del finanziamento pubblico a se stessi, non è probabilmente il modo migliore di erigere barriere invalicabili al montare dell’antipolitica.
Se poi ci mettiamo la rincorsa pluriennale a strizzare l’occhio ai fustigatori della casta, di cui chiunque faccia politica pare ormai convinto di far parte, e lustri di diseducazione civica di massa nel rapporto con le procure, per cui un avviso di garanzia, indipendentemente dal reato contestato, è un abuso o una condanna senza appello, il gioco è fatto ed è pure scoperto.
Ciò che resta dei partiti si è chiuso nell’angolo, l’ha trovato comodo, e ora protesta i pericoli del populismo. Che sono, per inciso, tutti reali, salvo che i populismi non si affermano mai per forza propria, ma sempre per inerzia del sistema che li genera e ospita.
Sono parassiti che si nutrono dell’assenza di soluzioni praticabili e di una classe dirigente vissuta come tale, di ascensori sociali che funzionano solo verso il basso, di corpi intermedi che diventano corpi sospesi, insieme impotenti e distaccati.
Sono il sintomo dello sfascio di un sistema di relazioni sociali, che avviene senza la forza di produrre una rivoluzione, ma che se contrastato fino a che ancora le forme della democrazia e delle istituzioni hanno un valore può essere arrestato, se interpretato come necessità reale di cambiamento.
Certo è che se si continua a riproporre un ceto politico in replica, si ignora l’esito di referendum votati dalla maggioranza del corpo elettorale, si da l’impressione di voler sottrarre alla sovranità popolare anche la scelta del governo, si certifica ogni giorno la propria inutilità riducendosi a portantina dei Tecnici, non vale poi molto intonare l’esorcismo dell’antipolitica.
Che a me comunque, per dirla col suo linguaggio, fa decisamente schifo.

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