domenica 22 aprile 2012

Se il fiume monta costruisci argini, non dighe.


A sinistra c’è chi inizia ogni suo intervento ricordando quanto dell’attuale, difficilissimo stato dell’economia e della finanza pubblica sia responsabilità esclusiva del governo Berlusconi.
Benissimo, concordiamo tutti, forse, ma non ci salverà, e non serviranno a nulla i lamenti postumi sulla fragilità della memoria degli italiani, sulle responsabilità dell’antipolitica, sul complotto dei poteri forti.
La democrazia contrae i tempi del giudizio, si ferma sul presente, guarda al passato prossimo e talvolta al futuro immediato.
Il passato prossimo è il governo Monti di salvezza nazionale, il presente sarà il governo Monti di lacrime, sangue, tasse e ricatti, il futuro quello che le forze politiche sapranno disegnare con quel residuo di credibilità che gli rimane.
Perchè non c’è ormai alcun dubbio che quella in cui ci siamo con passione infilati sia una spirale recessiva, che le politiche in atto e quelle minacciate alimenteranno ulteriormente, trascinando il paese verso il 2013 in un crescendo di disoccupazione, spread e disperazione sociale.
Lo dico senza alcuno spirito di Cassandra, ma semplicemente basandomi sulle previsioni già messe nero su bianco dallo stesso governo, per non parlare di quelle ben peggiori del FMI.
Nessuno faccia finta di stupirsi quindi se proposte attualmente gettate nel mucchio delle provocazioni populiste, come l’uscita dall’Euro o il default dichiarato, acquisiranno peso e sostanza politica nell’opinione pubblica, seguendo direttamente il ritmo in crescendo della crisi.
Potrà accadere per inerzia, con le principali forze politiche impegnate a difendere il fortino dell’austerità e del rigore, e allora sarà un problema, perchè acquisirà il sapore della rivolta cieca, della protesta rancorosa sempre più disponibile a qualsiasi salto nel buio.
Oppure potrà trovare un argine in una sinistra che sappia ricomporsi in un progetto di governo e ritrovare nell’uguaglianza e nello sviluppo i termini di salvaguardia e rilancio della democrazia.
Attualmente siamo molto lontani dall’obiettivo, se è vero che i vertici del PD esitano a definire una proposta di alleanze e persistono nella difesa a oltranza di un governo che loro stessi, a mezza bocca e nei quotidiani conciliaboli, non esitano a definire un totale fallimento.
Li frena come sempre la tattica, il timore di rompere equilibri precari, l’idea tanto radicata, quanto storicamente fallimentare, che i sacrifici preparino sempre la strada ad un radioso avvenire o alla remissione dei peccati.
Il resto della sinistra intanto rischia di incartarsi fra necessità di non divaricare oltre misura lo spazio che la separa dal PD, e l’oggettività di un governo che meriterebbe la più forte e radicale delle opposizioni, per le sue azioni, le sue parole, la sua cultura ideologica, il suo orientamento strategico.
Il rischio è che di questo passo, e stante il clima di antipolitica dilagante nel paese, un accordo forzato all’ultimo minuto, magari compreso nell’illusione di un campo eccessivamente largo e dal profilo indefinito, incapace di esprimersi con nettezza sull’esperienza del governo Monti, apra lo spazio ad una contesa fra sistema e anti-sistema, anzichè, come dovrebbe essere proprio in questa fase, fra sinistra e destra.
Come se ne esce?
Io giuro che continuerò a pensarci, ma bisognerebbe essere in tanti.
Intanto escono i risultati del primo turno delle elezioni francesi. Diciamo che è andata bene e ci stringiamo tutti attorno a Hollande. Ma i problemi ci sono e si vedono tutti.

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